domenica 25 aprile 2010

Marta e Gianni #3

Chissà

- Marta?
- Sì?
- Hai sentito l'ultima porcata?
- No (chissà se tra una mucca e un cavallo...)
- Del premier, dico.
- Mh, no. Ma, tipo? (...chissà chi fa le scorregge più puzzolenti)
- Dai, che vuole chiamare la Festa della Liberazione "Festa della Libertà"
- Libertà? (cioè, dipenderà dal cavallo. Tipo, se è da corsa farà sicur...)
- Libertà, capito? é tutta un'altra roba, ma come cazzo gli vengono in mente?
- Invece di Liberazione, dici? (cioè, se il cavallo è uno da corsa, mangerà della roba tutta dietetica super controllata, quindi penso che le sue scorr...)
- Ma mi stai ascoltando?
- Sì sì, che Berlusconi vuole chiamare la Festa della Liberazione "Festa della Libertà" dicevi, no? (invece la mucca mangia la solita mapazza che gli butta lì il contadino, ogm e robaccia varia, figurarsi questa che scorregge che tira, robe da uccidere un cristiano, se si trova lì sotto...)
- Eh, io non ci posso credere che abbia addirittura gente che lo segue, questo qui.
- (vince la mucca, sicuro. Pensa che puzza ahahahahha sotto la coda che sventola per la scorreggia che esce puzzolentissima ahahhah. Invece no, magari vince il cavallo; magari quelle robe dietetiche super super fanno fare una cacca assurda e quindi, se tanto mi dà tanto...)
- Marta, cos'hai da ridacchiare? Tu non mi ascolti.
- Ma sì Gianni, cosa vuoi che ti dica? L'ha detto anche l'anno scorso, non ti ricordi? Tanto quelli ne dicono di tutti i colori. Ormai mi sono anche rotta di star dietro alle loro stronzate. Vogliono stravolgere e riscrivere la storia, pezzo per pezzo. Ti stupisci? E molti lì a beccare. Potrebbero anche dire, che ne so, guarda, la sparo grossa, potrebbero dire che deve tornare la figura dell'Imperatore, che poi ovviamente è lui. Sicuro che molti sarebbero lì a correre dietro anche a 'sta cagata, sìììì, evviva il nostro Imperatoreeeeee. Nella migliore delle ipotesi la gente non si ricorda nemmeno le leggi che sono state fatte nell'ultimo anno, ma che dico, quelle di due settimane fa, e nella peggiore non gliene frega 'na mazza. Cosa devo dirti? Però se gli chiedi chi ha vinto il grande fratello, sanno tutto. Così è. Dai. Vuoi spaccare la testa e rifarla, agli italiani? Perché è soprattutto per loro che siam messi così. Ma io mi sono rotta di brutto, guarda. Oggi mi gira male. C'ho la stufezza totale.
- Marta, ma a cosa stavi pensando?
- Niente
- Dimmelo, che tanto ti vedo quando sei su Marte
- no dai, veramente, niente di importante
- dimmelo dai
- mh, ok. Stavo pensando se fa le scorregge più puzzolenti una mucca o un cavallo
- non ci credo
- invece sì
- no, ti prego, non mi dire che mentre io ti parlo di politica, tu pensi alle scorregge degli animali
- sì
- ...
- ...
- Marta?
- cosa? Sei arrabbiato?
- No. No. Pensavo che alla fine hai ragione te, sai? Meglio pensare alle scorregge delle mucche, va'.
- Ma secondo te chi vince?
- Martaaaaa
- Ahahah. Ok ok
- Comunque il cavallo.
- eh eh.
- ...
- Tesoro?
- Eh?
- Lo sai che ti amo, vero?
- Ma vavavavava.

Figli

Mia madre mi vide arrivare. Guardò da lontano, socchiudendo gli occhi per cercare di capire chi fossi. Oh no. Non potevo essere suo figlio. L'orologio mi arrivava su fino alla spalla, da tanto che ero magro. Cento sigarette al giorno, acqua e limone, ed ero riuscito a farmi rispedire a casa dall'Albania. Hanno pensato avessi qualche malattia strana. Non c'era cura che tenesse, dimagrivo. E allora a casa.

E allora a casa.

E al fronte non ci sarei tornato.

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Sono nel campo, come sempre. E' tardi. C'è quella luce, così, che sale da sotto, quella luce che adoro. Il giallo che si mescola al rosa, e al rosso. E c'è l'odore della primavera, nonostante queste giornate maledette. Angelo è tornato, forse è per questo che riesco a respirare quest'aria. La sua voce, ho sentito la sua voce. I suoi occhi, i suoi occhi sono pieni di guerra e paura e morte e sangue e disperazione, e io me la vedo tutta davanti. Tutta. Le sue ossa, ecco, giusto quelle mi ha riportato. Ma dorme nel suo letto, adesso, la notte. Sotto il suo tetto, adesso. Con me. E io lo posso vedere. E io lo posso toccare, stringere ancora. Almeno per un po'. Almeno per un po'. E l'aria della primavera entra dalle narici e allora i miei polmoni, mi fa quasi male respirare così, e i miei polmoni hanno fame di quest'aria pulita, nonostante queste giornate maledette. E respiro. Entra, fa quasi male. Esce. Brucia. Ancora, ne voglio ancora. Entra. Esce. Entra. Esce. Mi fa male mi gira la testa non posso fermarmi. Un lamento. Ancora. E ancora un lamento. Entra. Esce. Entra. Non riesco a fermarmi, mi fa male. Un lamento. Ancora, ancora, mi viene da piangere adesso. Apro gli occhi, mi gira la testa, ho preso troppo ossigeno tutto in una volta, mi viene da vomitare, sono io che mi lamento, mi fa male. Oddio sono pazza. Devo finirla con questa mania. Mi brucia il petto. La luce del tramonto, rossa. Un lamento. No. No. Non sono io. E' fuori da me. Nel silenzio, ancora, questo lamento. Allora cerco, adesso. Guardo. Lo seguo. Cammino lentamente. E poi lo vedo. E poi lo vedo. Non sono io. Il lamento. E' a terra, è un soldato. C'è il sangue. Ce n'è tanto. La gamba. La gamba. Il sangue è nella gamba. Io non riesco a muovermi. Io non riesco a fare niente. E poi mi guarda. I suoi occhi sono gli stessi occhi di Angelo. Sono pieni della stessa schifosa merda della guerra. Della stessa paura, della stessa morte, dello stesso dolore, dello stesso sangue, della stessa disperazione. E la vedo, di nuovo. Ma io non riesco a muovermi.

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Decidere. Si tratta di decidere che fare. Io vado per le montagne, mamma, con gli altri. Non torno al fronte. Adesso combatto la mia, di guerra. Adesso basta. I tedeschi se ne devono andare. Tu non mi hai visto mai. Se te lo dovessero chiedere, tu non mi hai mai visto tornare.

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Cosa faccio? Lui mi parla e io non capisco. Non capisco cosa mi dice. Chiude gli occhi, piange. Li apre, piange e mi guarda. Li chiude, adesso. E piange ancora. Io, sarà l'ossigeno, troppo ossigeno a respirare così, io adesso lo sento anch'io il dolore della sua gamba, come se fosse la mia. Sento le sue lacrime calde come se rigassero le mie, di guance. Ah, no, è perché piango anch'io, adesso. Mi avvicino, piangiamo tutti e due. E le nostre lacrime sono proprio uguali. Calde e salate. Le mie giù nel mio vecchio viso pieno di rughe, e dolore. Le sue nel suo giovane viso pieno di graffi, e dolore. Adesso ti porto via con me. Ti metto nella stalla. Ti curo quella gamba. Ti curo quelle ferite. Ti fermo le tue lacrime, che magari quando si fermano le tue, si fermano anche le mie.

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Mio fratello è tornato a prendere le armi. Sono stato bravo, sono piccolo, ma sono stato bravo. A morte, maledetti tedeschi. Portami con te. "No, sei piccolo, e devi badare alla mamma. Dille di smetterla di respirare così, che poi sviene nel campo". Portami con te. "No. Mi devi aiutare qui. Tu sei forte e coraggioso. Li sterminiamo, quei maledetti. E se ne andranno. E finirà, tutta questa merda. E tu mi devi aiutare qui. Torno tra una settimana. Fammi trovare quello che ti ho chiesto, ma stai attento a non farti vedere."

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Lo guardo. Lo guardo che dorme. Non riesco a smettere di piangere. Io vedo le pallottole uscire dal suo fucile. Io vedo la sua bocca morsicare una bomba e vedo le sue mani che la lanciano lontano. Io vedo i suoi piedi stanchi. Io vedo la sua paura, io vedo la sua rabbia. Io vedo i suoi sogni e la sua ragazza che è ancora lì che lo aspetta. Io vedo le lacrime di sua madre che è ancora lì che lo aspetta. Io vedo che non vuole uccidere. Io vedo che non vuole morire.

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- mamma! ma cosa...
- sssht! zitto.
- mamma, ma cosa stai facendo? Cosa-diavolo-stai-facendo?
- Zitto tu, zitto.
- mamma, perdio! è un tedesco, è il nemico, Cristo!
- No, tesoro. Zitto. Basta. Qui davanti io vedo solo un uomo.

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Io, bambina mia, non ho più parlato a mia madre, da quel giorno. Mi ha chiesto di non dire niente, mi ha chiesto di non ucciderlo, mi ha chiesto di lasciarlo andare. Abbiamo parlato, litigato, urlato. Noi lottavamo nelle montagne, per cacciare i tedeschi. Ne fucilavano dieci dei nostri, se ne trovavano uno morto dei loro. Ed erano il nostro nemico. Come poteva, mia madre, sapendomi nelle montagne a combattere contro di loro, a rischiare la vita, sapendo che tutta la famiglia, persino mio fratello piccolo, era impegnata in quella guerra nella guerra, come poteva curarne uno nella nostra stalla, di nascosto? Come poteva tradirmi così?

Per anni ho pensato che quella sua strana abitudine di respirare a pieni polmoni nel campo, quando non la faceva svenire, le mandava letteralmente di volta il cervello.
Adesso sono vecchio. E adesso, solo adesso, capisco cosa ha fatto la tua bisnonna in quei giorni.

Lei ha salvato un uomo.

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Buon 25 Aprile.

lunedì 19 aprile 2010

Come fili

Siamo come fili
noi,
che si intrecciano.

Siamo come fili
che tessono questa storia,
pezzi di sé,
pezzi di altri.

Siamo come fili
che si toccano.
Cuciono trame di vita,
di vite.

Siamo come fili
di tanti colori
dentro aghi
che corrono
e trafiggono per unire,
e stringere quel desiderio
e incrociare
e giocare
e restare
e spezzare
e dolore.

Dammi il senso di un racconto,
l'ago per cucire
il saliscendi per capire
il ritmo di questo vivere
incastrati.

Incrociami
annodami
stringimi.

Strappami.

Scioglimi
e lasciami andare,
adesso.

E siamo come fili scuciti
senza più trama
senza dolore
senza più desiderio.

E siamo come fili sgualciti
noi,
che aspettano
un altro racconto
il prossimo incrontro
il prossimo abbraccio.

venerdì 16 aprile 2010

Mondo lombrico!

A scuola abbiamo un orto.
Abbiamo piantato il grano, in ottobre. Poi è arrivato uno spaventapasseri: doveva controllare che i semi non venissero mangiati dagli uccellini. L'hanno chiamato Fiorellino. Nome democraticamente eletto.
Il grano è cresciuto subito di qualche centimetro. E poi il letargo. Fermo, il grano non cresceva più. Deve andare così, abbiamo scoperto. Ricomincerà a crescere in primavera.

Poi è arrivata la neve. E lo spaventapasseri vegliava, piantato con il suo bel palo in mezzo al nostro orto.
Poi è arrivata la primavera. Il grano è cresciuto un sacco. 40 centimetri, adesso. E lui sempre lì, sorridente, le braccia aperte, vestito di stracci e con il suo cappello marrone chiaro.
Stiamo per piantare carote, zucchine, fragole, erbe aromatiche. Hai voglia, vegliare.

Poi, l'altro giorno, lo spaventapasseri non c'era più. Al suo posto solo un grosso buco.
Qualche povero fesso di mente e di spirito ha scavalcato nottetempo il cancello della scuola e si è fregato Fiorellino.

Già. Fregato. Lo spaventapasseri della scuola. E anche l'unico tulipano nato. Fregato anche quello.

Abbiamo aspettato che i bimbi lo scoprissero da soli. E infatti se ne sono accorti quasi subito, sopratutto chi lo salutava ogni giorno tornando a casa. Ma non ce lo dicevano, all'inizio. Ne parlavano con fare sospettoso, parlottavano, e noi aspettavamo.
Poi l'hanno detto pubblicamente.
Abbiamo chiesto loro di fare ipotesi, di darsi una spiegazione. Qualcuno ha fatto fatica a crederci, che non c'era più. Siamo dovuti andare fuori a controllare, nonostante fossimo stati in giardino fino a poco prima.
E perché non c'è più?
Ne hanno dette di tutti i colori, ma a nessuno è venuto in mente che qualcuno potesse averlo preso.

Poi, inaspettata, l'Ipotesi di G.:

"se ne è andato sottoterra, è passato dal buco, vedi? perché adesso deve badare alle radici".

Eh già, stiamo per piantare le carote.
E visto che adesso lui è lì, a fare festini con le coccinelle e le formiche e le lumache, ne approfitteremo per andare alla scoperta del mondo lombrico (lombrichi, siete avvisati: stiamo arrivando).


...
(Ma 'sta gente che frega spaventapasseri dalle scuole, vergognarsi no?)

domenica 11 aprile 2010

Romeo e Giulietto

Oggi è successo un villiam sciecspir a casa mia.
Stavo cercando un calzetto vecchio per fare un burattino assieme al figlio piccolo, che serviva per la sua scuola.
Ne cercavo uno bucato, ma niente.
Cerca cerca, alla fine trovo un calzetto rimasto solo. Non è vecchio, ma è solo. Ho fatto fatica, perché son di quelle che non buttan via niente, ma dell'altro, giuro, nessuna traccia.
Quindi. Si può fare. Mi convinco. E' un dolore, ma mi convinco. E' la cosa migliore. Coraggio.
E' un piano perfetto. Lui è il Calzetto Perfetto.
Bòn. Prendo e porto in cucina per le operazioni.
Taglio, faccio buco, cucio vestito da cacciatore, infilo sopra testa da cacciatore, metto dietro incollato fucile da cacciatore. Taglio cucio strappo coloro ritaglio ribuco.

E poi. Poi è successa una cosa terribile.

Il compagno. Il compagno calzetto. Il Romeo del suo fu Giulietto. Non era sparito. Era nascosto tutto rincagnato in un angolino dentro al cassetto.

Oddiosanto. Oddiosanto. Oddiochetragedia. Avevo sacrificato, cioè, nella convinzione che, voglio dire, insomma, un dolore al petto sento che mi nasce da dentro acuto. Mi gira la testa mi sento male. Frastornamento.
Ma, ormai, a nulla sarebbe servito cercare rimedio a cotal tragico fatto. Il suo Giulietto era passato a miglior vita (da cacicatore, per la precisione tragica).
E allora?
Una tragedia moltissimo siecspiriana.
Che fare?

Stavano bene insieme. Eh sì.

Bella coppia, veramente.
E' tutto un muoversi di teste con fazzoletto da lutto, mani giunte in grembo, occhietti chiusi nel dolore.

Che peccato. Una tragedia, guardi. Robe da non credere.

Fossero stati vecchi. Invece niente. La fretta, i fraitendimenti.

Son dispiaceri grandi.

Che poi a saperlo, l'altro magari non faceva quella fine, sì, insomma.

E adesso sarebbero...

Non mi ci faccia pensare.

Neanche da poter dire che se ne troverà un altro.

Eh no. Una coppia davvero unica.

Insomma, come è finita?
E' finita che l'altro l'ho buttato nel bidone.

lunedì 5 aprile 2010

La Nina

"Mah, seto, cara", inizia lei, "i jera tempi duri, quei. No xe che te podevi, disemo, no xe che te podevi fare queo che te voevi. A xe rivà a guera e tanti tosi i ga dovuo partire pa'l fronte. Cussì a xe."

Non parla mai volentieri della guerra, la Nina.

"A go un ricordo, par farte un esempio. Me ricordo che jero putea, gavarò vuo sie o sete ani; a jero in cusina co' me mama che a faseva a poenta e mi zugavo col can. No ghe jera più nissun in casa; soeo che mi, me o pà, me mama e to zio Severino, parché e me soree e se gavea sposà tute e le jera za 'ndà stare fora casa.
A un tratto riva de corsa me fradeo Severino con un fojo in man. El iera tuto sudà, poareto, bianco. E me mama taca domandare cossa che el gavea fato el toso; e eo ghe mostra sto fojo che poi el saria sta' el Bijeto Personae".
E cos'era, Nina, il Biglietto Personale?
"Eh, el jera el bijeto che te dovevi partire pa a guera, ché jerimo in guera, seto. E 'ora a ghe jera me mama che a disea "Ti no te ve' da nissuna parte che te me servi nei campi"; e eo, poareto, che 'o savea che ghe tocava 'ndare".

- cossa gheto da còrere, ostia!
- mama, el me xe rivà anca a mi.
- cossa?
- el "Bijeto Personae".
- e cossa seo, desso, 'sto "Bijeto Personae"?
- a gò da partire pa a guera, mamaaaa. Come i me' cugini.
- cossa? Ti no te ve da nissuna parte, che te me servi nei campi.
- mama, non sta fare cussitta che xe anca peso. A go da 'ndare. No xe che posso star qua, te o sé.
- speta che ciàmo to pare.

E 'ora me mama la ga tacà coràre pal campo, e la sigava e la ciàmava me opà. "Toniii Toniii" la disea.

- Toniiiiiiii! Toniiiiiiiiiiiiiiiiii! Vien casaaaaaaaaaaa!
- Ma cossa sighito, mama! Che tanto nol te sente. Te o sé che co che el xe nel campo non sente, dai!
- Nina, va a ciàmare to pare.
- non go voja.
- Nina, va' parchè a xe a volta bona che te dago.
(Questa no a sposo mìa, seto. A xe massa dura de testa, a xe. Massa. No a capisse manco e botte, 'sta qua. Tae e quae 'so mare, che a sarìa mi).

E 'ora via! zo pa' i campi, col can sempre da drìo, che nol me lassava mai, jera anca beo chel can! pora bestia, e me mama che a continuava a sigare.

- Toniiiiiiiiiii, Toniiiiiiiiiii!
- 'rivo femena, 'rivo! moeghea de sigare, ostia!
Cossa vuto?

- A se rivà a letera pa 'a guera, a Severino. Dime che nol va.
- Orco de un can!

Me fradeo, intanto, nol capiva pì gnente, el gavea tacà girare pa' a cusina che nol se capiva gnanca cossa che el disesse. El brassava, el faseva dei discorsi che eo no jera d'acordo co quei che i credeva nea guera; che eo nol voeva sparare a un toso come eo, soeo parché jera da st'altra parte del fronte o parché el parlava n'altra lengua. Che i ghe sarìa dovui stare i ricchi, nea trinsea, in chea guera; che a jera de jori, che i se a fazesse, no dea pora zente come nojaltri che no gavemo vuo niente de guadagno.

- A so' za morto. Che se no vago i me spara qua, e se vago i me spara par de à. In tutti i casi, a so' za morto.
- Moeghea toso! No te go partorio con doeore parchè i te copa in guera. Toni, cossa fasemo?
- El ga da 'ndare, me sa.
- Toniii! fame un piasere! Ma te o sé cossa che capita al fronte? te ghe sentìo me soréa cossa el ga racontà so fiojo, che ghe xe chel generae, come xe che se cìama, Cadorna, che el se mato come un cavaeo, che el fa e decimassion par tenere a dissiplina: el sveja chei pori tosi nea note e ne copa uno a caso davanti de staltri, soeo parchè magari qualcuno el gavea tentà de scampare, o el gavea fato chissà cossa. Pori fioj. Roba da diventare mati tutto in un colpo. Dai, 'ndemo, su, Toni! trovemo 'na sousion, che ti te ghe anca fantasia, che il toso no ga da ndare.
- femena tasi che te me desconcentri, ostia!

E ghe jera meo pà che el pensava, co' a man su a fronte e i jocci sarai. Mi vardavo me fradeo, me mama, me pare. Ma fazevo anca finta de niente, seto. zugavo col can, che savevo che se vardavo troppo i me mandava fora. Che i putei no i gavea da sentire e robe dei grandi.

- Trovà! disemo che el se cieco. Severino, scolta ben to' pare: desso ti te ve in giro pal paese sbatendo contro tuti j'alberi, gheto capìo ben?
- Toni! ma sito deventà mato tutto d'un colpo? ma cossa xe che te passa pa' a testa, ostia!
- sitta femena. Gheto capìo, Severino? sbati, sbati dappartutto, capìo. Da adesso ti te sì orbo. Cie-co com-ple-to. Che te xe vegnuda 'na malattia gravissima e te ghè perso j'occi. Tuti do. D'un colpo.
- papà, ma mi no so se a xe 'na bona idea. E se i me ciapa che a se 'na baea grossa come 'sta casa? I me copa, i me copa. A so za morto.
...
- Me sa che te ghe rasòn. E 'ora seto cossa fasemo? te nascondemo. A fasemo 'na busa su pa'l monte e ti te stè là e te torni co te 'o disemo nojaltri.

E allora poi? Cosa è successo?

Eh cara, 'scolta ben che te conto. Xe successo che me opà el ga fato na busa su pal monte e me fradeo nol se ga mai presentà co che i ga ciàmà i tosi in piassa. E cussitta eo el stava drento là tutto il giorno, e mi ghe potavo un toco de pan col formajo. A gaveo 'na paura de esser vista che no te poi neanca imajnarte. E dopo, ogni tanto, j cambiava posto dea busa. Me ricordo che a note el tornava e se sdraiava un pocheto, poareto. Nol dormiva miga, seto. Mi 'o so, parchè me racontava e storie pa farme indormensare; ché co chel ghe jera eo, non dormivo gnanca mi.

Così raccontava la Nina.

Severino lavorava nel campo lo stesso, quando c'era bisogno, o tagliava la legna di nascosto, per dare una mano. Certo, c'era sempre la Nina pronta a correre ad avvertirlo nel caso vedesse arrivare un carabiniere a cavallo; e sempre lei gli portava qualche pezzo di pane e formaggio nella buca, guardando bene che nessuno la seguisse.
Andarono a cercarlo a casa ma Toni disse che da un giorno all'altro il ragazzo era scomparso. Più visto. Lui e la Pasquina temettero qualche forma di ricatto strano, per la verità. "Dì a tuo figlio che se domani non si fa trovare, fuciliamo te". Tennero duro, e alla fine, Toni non lo fucilarono mai.
I bollettini di guerra intanto continuavano a mandare notizie, per lo più false, ma il passaparola, i figli che non tornavano e le bombe sulla testa mentivano poco.
Era una carneficina.
La Pasquina non dormiva più. E allora di notte recitava il rosario; di giorno per lo più sospirava e si faceva segni della croce.

Toni dormiva solo con un occhio e prima di addormentarsi, tutte le volte, diceva anche lui il suo rosario:


"Zio can, riverà el giorno in cui no ghe xe più 'na guera, el giorno in cui saremo nojaltri povera xente a comandare su 'a nostra vita. El giorno che no dovemo pì avere paura sempre. Riverà. El ga da rivare chèl giorno. Ostia."