lunedì 30 agosto 2010

Nella vita la droga non serve

Quando si incontrano, tutte le volte, un abbraccio le raccoglie il tempo necessario a dirsi "Che bello non vedevo l'ora che tu arrivassi ti voglio così bene che non sai, mi sei mancata, ma quanto tempo, tutto bene a casa, sei felice, non riusciamo mai a vederci, sei così magra, ma mangi, tu non mangi, e il lavoro, la vita, le vacche, maledette le vacche sempre tra le palle, sei poi riuscita a estirpare la gramigna dal giardino di tua madre che so che ha fatto più danni lei della coca-cola sgassata".
Eccetera.
Quante cose può contenere un abbraccio, ci si stupisce sempre.

- Vieni, entra. Son contenta che tu sia venuta, avevo proprio bisogno di due chiacchiere con te. Andiamo a sederci nelle sedie immaginarie di paglia in terrazza davanti a queste birre.

Si siedono per terra. Una ha una birra, l'altra un succo. Quella col succo scuote la testa guardando per terra e sospirando lungamente.

- Cosa hai fatto, ciccina?
- Mah, niente. E' un po' che mi struggo, c'è una situazione che, non so bene.
- Ti vedo, cosa c'è?
- Non so se dirtelo, veramente. Un po' mi vergogno, anche se tu non sei il tipo che si mette a giudicare. Magari mi sapresti anche dare un consiglio.
- Dimmi dài
- E' che alla nostra età, non pensavo, sì, insomma...
- Cosa-ti-succede.
- Ok, la faccio breve: mi sono innamorata.
- Cosa?
- Sì.
- Aaaapperò. Non me l'aspettavo. Dì, può capitare anche da sposati. Ma da quanto?
- Eh, è un po'.
- Ma, e tuo marito?
- Non lo sa, ovviamente, ma credo che inizi a capire.
- Senti, può succedere.
- Lo so. Solo che non è una cosa facilissima da gestire, cavolo.
- Immagino. Ma conosco?
- Sì.
- Chi è?
- E qui viene il bello. Passa la birra va'.
- Tieni.
- ...
- Me lo puoi dire o devo strapparmi la camicetta dalla cusiosità?
- Te lo dico, te lo dico. E' che non è facile.
- Ovvio. Vabbè dài, spara...
- Il fatto è che
- che?
- che è una donna. Una donna, capisci?
- COSA?
- Già.
- Una donna? Certo che tu non finisci mai di stupirmi. La cosa prende sfumature interessanti.
- E' strano, sì.
- Ma ti era mai successo?
- No.
- E come.. cioè, ma lei? Le piaci anche tu?
- Credo di sì. Non lo so. E' complicato, dài.
- Eh, insomma, non faccio fatica a crederlo, sì.
- Aspetta, perchè non è finita.
- Cioè?
- C'è un elemento che complica ancora di più le cose.
- Più di così? Oh signore!
- Sì, perché il fatto è che anche mio marito è innamorato di lei. Un casino, guarda.
- Ma cosa cacchio stai dicendo?
- Sì, e non mi guardare con quella faccia. Almeno tu.
- Ma chi è?
- Veramente lo vuoi sapere?
- Eh sì! Hai detto che la conosco. Ma chi è?
- Sono io.
- cosa vuol dire, adesso, io?
- Io, io. Mi sono innamorata di me. Di me. Mi trovo stupenda.
- Scema, sei, no stupenda. Mi prendi per il culo? Ripassami la birra, dai.
- Tieni.
- (ma cretina io che ti ascolto).
- ...
- Lo sai che quello che mi stai dicendo ha un nome, vero?
- Ah sì? E quale?
- PAZZIA
- C'è pillolina che guarisce?
- No.
- Soffro, dài cacchio. Aiutami.
- Ok, siccome i pazzi vanno assecondati, m'han detto, Mi dica, signora: la cosa la sta facendo soffrire molto?
- Sì, moltissimo.
- E perchè?
- E' inutile, adesso, che butti gli occhi al cielo. Guarda che è una cosa serissima.
- Ma certo, capisco.
- Il problema è che sono gelosissima di lei.
- Pure. Brutta bestia, poi, la gelosia.
- Sì. Mi guasta tutto, l'umore, non mi riesco più a godere niente. Tipo l'altro giorno siamo andati a fare un giretto molto romantico. Ad un certo punto lui ha detto: Guarda dove ti porto, che posti ti faccio vedere. Si vede proprio che sei felice.
- Eh eh
- Non ridere. Mi sono incazzata come una bestia. Gli ho detto: Guarda belìn che sono io che la rendo felice, non tu.
- Ah, certo. Immagino la sua faccia.
- E una volta abbiamo fatto l'amore e dopo lui era tutto gajardo e io gli ho detto: "Ciccio, cala la cresta che se lei ne vien fuori felice è merito mio, non tuo. Capito?". Gelosa, gelosa. Non ne esco da 'sta cosa qua.
- Lia, apro un'altra birra, ti dispiace?
- No no, fai. Anzi, aprine una anche per me, valà.
- Brindiamo alla tua salute mentale!
- Dài scema.

F-chisssc. F-chisssc (rumore di birre che si aprono).

- Lia, ascoltami.
- dimmi tutto
- Non è che per caso, oggi, sei andata dal dentista.
- Sì.
- e hai fatto l'anestesia.
- sì.
- Ok, allora facciamo così, tu adesso mi dai la tua la birra e vai a dormire.
- Vaaa bene. Grazie che sei passata, eh.
- Grazie a te delle birre, ciccia. Ci sentiamo più tardi.

Questo dialogo è avvenuto tra me e me e me e l'amica immaginaria di passaggio durante il tragitto dallo studio del dentista a casa mia, subito dopo la cura di una carie.

venerdì 27 agosto 2010

#1 #2 e #3

#1 Un ventunenne

Sono sudata. E' mezzogiorno circa. Ho i capelli raccolti male, sono vestita peggio e ho l'aspirapolvere in mano. Suonano.
Mamma, c'è un signore che vi vuole. Sì, fallo entrare.
Entra quest'uomo. Ha una borsa a tracolla e mi guarda e inizia subito a parlare velocemente, a voce alta mi rovescia addosso le sue parole confuse. Io penso che sono messa come il porco, come il porco, penso, proprio così, come il porco, e penso anche Ma perché questo entra e inizia a parlarmi, mi chiede Come stai signora, parla velocemente e a voce alta però è come se non parlasse con me, mi guarda ma non mi guarda; che diritto ha, questo, di entrare così?
Spengo l'aggeggio e Van dalla cucina gli dice Vieni di qua, vuoi bere qualcosa, avrai caldo. E' più sudato di me. E' mezzogiorno, ci credo che è sudato. Gira per le vie con la sua borsa che dentro ci sono i calzetti, i fazzoletti e le altre robe, me lo ha detto, dopo, che li compra in un negozio, che abita vicino e viene qui a vendere queste robe.

Quando mi urla Come stai signora, io sono sudata fradicia, gli dico, sono sudata. Ecco come sto, sto pulendo e ho l'aspirapolvere in mano e voglio solo finire di pulire, mi chiede dov'è Matteo, ho suonato sotto ma Matteo non c'è. No, non c'è, è in vacanza. E tu non vai in vacanza, signora? Io ci sono già stata, gli dico.
Chi sei? Sorridi e parli forte, ma io lo vedo che non ci sei, che sei nascosto. E' l'imbarazzo. Il mio. E il tuo. Io no, non lo voglio però, questo imbarazzo.

Tu sei entrato qui.

Non ti farò, anche se te lo aspetti, non ti farò quel maledetto sguardo di buonismo ipocrita che ci fa sentire buoni e bravi che ti accogliamo. No, non sei tu, quello lì, e no, non sono io quella lì. Non è il mio sguardo, non è il mio sorriso, non lo avrai, non ci proteggerò, affronterò le nostre verità. Sei entrato qui e adesso facciamo i conti con chi siamo, io e te. Ti stai riparando, e ti capisco, mi dai quello che credi che io voglia vedere, per proteggerci entrambi, forse. Così siamo a posto, mi vendi qualcosa che non mi serve, lo so io e lo sai tu, stiamo tutti al nostro posto, è così che funziona, no? è così che si fa. E' così che stiamo male tutti e due. Quello che adesso mi mostri parlando a voce alta è quello che credi che io voglia vedere, l'etichetta che ti hanno cucito addosso, ogni giorno da quando sei qui, attraverso ogni sguardo che si è attaccato su di te e che tu ci restituisci, l'extracomunitario che vende e che magari non è nemmeno in regola ma che lo si aiuta, magari. No, io adesso voglio vedere chi sei, visto che sei entrato in casa mia, adesso io e te parliamo, e tu mi dici chi sei, da dove vieni, cosa hai passato, un pezzo di te, della tua storia. Se vuoi. E se vuoi io ti dico chi sono e dopo ci parliamo, io e te, vediamo se togliamo queste maschere, io quella del sorriso-ti accolgo-ipocrita e tu quella che ti ripara dall'imbarazzo di un lavoro e di un ruolo che non ti appartiene veramente. Nascondi chi sei perchè qui non interessa a nessuno chi sei, vero? Credi che ti protegga, quella maschera. Magari è così e ti ripari da un incubo, e io adesso ti sto facendo violenza. Perché funziona, è quella che ti abbiamo appioppato noi e noi ti vogliamo vedere così, perché così sembra che faccia meno male.
Invece guarda un po', adesso io e te parliamo come due persone che si vogliono conoscere. Magari. Sei entrato qui. Mi hai chiesto come sto. E tu, come stai.

Fa male, malissimo, ma mai quanto comprare qualcosa per sedare quel male che poi resta chiuso in fondo, sordo, maledetto, che sai che non va bene così, che c'è qualcosa che non quadra.

Siamo in cucina e parlo lenta, ti guardo e penso a cosa devi aver visto e passato, combatto con tutte le mie forze l'imbarazzo mio e tuo, chiusa tra le ginocchia nella sedia di legno alta del figlio più piccolo, cerco me stessa, quella vera, e cerco di restituirtela. Voglio sapere chi sei, voglio vedere la persona dietro quegli occhi velati, ti guardo negli occhi, dritto e non ti proteggo. E non mi proteggo dal mio imbarazzo. Che mi prenda, il tempo disteso della chiacchierata, il tempo lungo di un imbarazzzo che non si scioglie; lo preferisco all'ipocrisia gelida e sicura. Non ci sto, a parlare in superficie. No. E pian piano scende il velo. Il mio. Quello di Van che ci porta un bicchiere di succo d'arancia. E il tuo.

Matteo mi conosce, anche tu, anche tua mamma, sono venuto qui, lui mi conosce ma anche tu mi conosci, ti ricordi di me? Sì, ma sono passati almeno quattro anni. Come ti chiami? Mahdi. Piacere.

Adesso siamo tre persone che parlano in una cucina. Mahdi parla del suo paese di provenienza. Mahdi parla di sè, dei suoi fratelli, uno è ricco, dice lui, vive in Asia, ha 37 anni e una bella famiglia con bambini e tornano ogni tanto a casa. Mahdi parla della situazione politica italiana, della visione italiana che hanno al suo paese guardando la televisione, della corruzione che dilaga lì, della paura della sua gente che non crede possibile che le cose possano cambiare, dei fucili durante le elezioni, della legge del più furbo che ha imparato che solo a far le furbate si dimostra che si è svegli e intelligenti e che si merita il potere e la ricchezza. Se uno ha il potere e non lo sfrutta, perde credibilità, mi capisci? Capisci cosa dico? Se uno va in politica e diventa potente e non gira con la macchina di lusso, e non vive di lusso e non ha tanti ori la villa le ricchezze eccetera, ecco la gente dice che quello non è bravo politico, che è scemo. E anche la gente pensa così, che devi fare così per diventare ricco anche se rubi e sei corrotto, allora sei furbo e forte, capisci? E se non fai così resti povero e non sei stato furbo, non sei bravo.

Eh, credo di capire.
Ma nel tuo paese, nella scuola, l'educazione...

La scuola, ascolta, la scuola nel mio paese è più difficile di qua, e prepara bene. Ma quanto tempo passano i tuoi figli a scuola e quanto a casa? E' una questione di mentalità della mamma e della famiglia. Quella resta. La mentalità, e i bambini passano molto tempo a casa. Non a scuola.

Credo di capire, sì.

C'è una donna, adesso, ministro della sanità, che ha fatto cose grandi. Lei ha fatto un falò di tutta la medicina tarocca, finta, che prima entravi nell'ospedale e te la davano e morivi. Lei ha dato fuoco a tutte queste medicine finte indiane e adesso lei deve girare con la scorta perché la vogliono amazzare, perché quelli che ci guadagnavano, mi capisci cosa dico? Gira con la scorta. E' difficile.
Nel mio paese ci sono posti che stai bene, e puoi girare a mezzanotte e non ti succede niente, e ci sono posti che non puoi, c'è molta violenza. Come qui.

Adesso io ho vinto il ricorso al tar, non mi possono fare niente adesso in Italia, vedi? Io mostro questo foglio che dice che io posso stare, non mi possono mandare via. E' difficile adesso in Italia, non è come si vede alla televisione. Anche gli italiani, è difficile adesso. Spero di trovare un lavoro in fabbrica, è meglio in fabbrica, ho amici con macchina, che riescono a fare una famiglia. Così a vendere non è bello, voglio lasciare questo, di lavoro. Però almeno adesso uno ce l'ho, di lavoro.

Io pago l'affitto. Vado bene, vuole 500 euro e siamo tre. Ma ho amici che gli chiedono 500, o anche gratis scritto sulla carta e poi ne vogliono 700. Perché?

Eh, succede anche con gli italiani, con gli studenti spesso.

E perché voi italiani accettate e non fate niente?

Eh, non lo so.

Ma vedi qua è meglio però. Le tasse anche se c'è la corruzione, le tasse alla fine qualcosa si fa, le strade. Nel mio paese no. Non funziona il sistema delle tasse, come qui. E' tutto corruzione altissima e per le strade, o le scuole, o gli ospedali non si fa niente. Chi è potente è ricco e pensa a sé e tiene le cose così con i fucili, il popolo ha paura. C'è la violenza, in certi posti, le cose non cambiano anche per la mentalità, ma anche per i militari, i fucili, capisci? Chi è ricco e si ammala, via, vola all'estero. Per studiare, via, mandano all'estero. Qui sì, c'è corruzione, vedi, ad esempio in Italia adesso c'è Berlusconi che è del... PD? No, è del PDL. Ah, ecco, c'è la corruzione anche qui ma alla fine le cose un po' ci sono, per la gente. Funziona, un po'. Invece nel mio paese no.
"Nel mio paese no". Intanto penso.

Parliamo, confrontiamo le nostre idee e i nostri paesi, cerchiamo di capire qualcosa in più di noi, del mondo in cui viviamo, del potere, della mentalità, delle contraddizioni, dello schifo che fa l'uomo, delle volte.

Mi sembra che siamo tutti nella stessa barca, ad un certo punto.

Da quanti anni sei qui?
Quattro.
Quanti anni hai?
Ventuno. E voi?
Io ne ho 37, lui 38.
Adesso devo andare perché passa il mio treno.

Vuoi una bottiglia d'acqua?
No, ce l'ho, grazie.
Un po' di frutta?
Sì, grazie, la prendo, la frutta.

Quando passi di qua passa a salutare, se ci siamo.
Ciao, vado perché passa il treno tra poco, ho paura di perderlo.
Vai vai. Ciao e in bocca al lupo per tutto.
Grazie. Anche a voi.

#2 Un diciasettenne

- Il mio problema è che io non li so fare, i temi, non sono mai stato capace.
- Basterebbe leggere.
- Non mi piace leggere.
- Ma ci sarà qualcosa che ti piace.
- Sì, il calcio.
- Allora domani vai in libreria e ti prendi un libro che parla di calcio.
- Eh, sì, ma io non so dove lo trovo.
- Ma come "non so"... vai e chiedi, magari, la biografia di un calciatore che ti piace, e la leggi. Che ne so, anche uno del passato, Pelè! Vuoi che non ci sia un libro su Pelè!?
- Mh, no. Non mi va.
- Hai provato a leggere qualcosa in rete? No so, blog o altro?
- E cosa sono?
- Mh. Allora credo che difficilmente, se non inizi a leggere, migliorerai nel fare i temi.
- Eh, mi sa.
Alza le spalle. Non importa, in fondo, sapere fare i temi.

#3 Un cinquenne

Siamo in spiaggia sedute sull'asciugamano. Io e lei abbiamo passato l'infanzia insieme e adesso siamo qui, a guardare i nostri figli che giocano in riva al mare. Li osservo. Sono bellissimi e penso a quanto siano fortunati, a godersi il mare.

- Era tanto che non lo vedevo. Com'è cresciuto. E' bellissimo.
- Eh sì, abbiamo proprio dei bei bimbi.
- Già.
- Lia, senti: ti racconto cosa mi succede spesso. Quando sono in giro con A. le persone si avvicinano e mi dicono: "ma che bel bambino, signora".
- Non faccio fatica a crederlo, in effetti.
- Sì, solo che poi dicono anche (e succede spesso, eh): "Da dove viene? Perché mia figlia ne vorrebbe uno ma dicono che ci vogliono un sacco di anni per averlo"
- ahahahaha, ma dai! non ci credo, veramente? E tu cosa dici?
- Io dico che ci son voluti nove mesi.
- Ahahahahha! E loro?
- Loro dicono: "Ma come ha fatto? Sono pochissimi!"
- Ahahahahah. Oh mamma!
- E allora io dico: Le gravidanze è così che durano, signora, di solito.
- Ahahhahahaah.

venerdì 13 agosto 2010

Robe di cui novantarsi

Oggi ero davanti a una quindicina di bambini a presentare il primo libro di Sara.
Se ne stavano tutti lì seduti a terra sui cuscini ad aspettare la storia. Ma continuavano ad arrivare bimbi alla spicciolata e così, non potendo iniziare, ho deciso di giocare un po'.

Vediamo, ho detto, io adesso indovino la vostra età.

Tu hai 4 anni e mezzo. Sì. E tu ne hai sei, vero? Sì. E, mh, vediamo, tu devi averne cinque. Sì. E io? io? io? Invece tu, fammi vedere, tu ne hai tre, giusto? Sì, sono già diventata grande io, vedi? mi ha detto lei. Eccome, le ho detto io.
Non ho sbagliato un colpo.

Poi li ho guardati, mi guardavano. Ho fatto una smorfietta, mi piace prenderli un po' in giro, mi diverto un sacco, a prenderli in giro. Ho chiesto: e io quanti anni ho, secondo voi? Ho più o meno di cento anni?
Loro mi guardavano seri, soppesavano. La bambina di tre anni con la testa inclinata mi ha guardato bene e poi mi ha detto: per me ne hai novanta.

mercoledì 11 agosto 2010

In perdere e in legare

"Addio, mi annoi", disse il suo amico immaginario prima di lasciarlo e andarsene via per sempre (a signorine, molto probabilmente).
"Andiamo bene", pensò Gualtiero. "Se mi pianta anche quello che mi invento io nella testa, sono alla frutta".
E aggiunse tra sé e sé, preso dal panico: "devo fare qualcosa, immediatamente!".

E così Gualtiero, che era uno che si lasciava andare ma di certo non era uno che si lasciava lasciare, prese una corda lunghissima e iniziò a legare ogni cosa; e legò, legò, legò per ore tutto il giorno. Legò il comodino al tavolo, e poi il tavolo alla sedia, e poi il tavolo e la sedia ad una seconda sedia, e poi a tutte le sedie; legò le scarpe con le scarpe e poi le scarpe alle ciabatte; e poi le ciabatte alle gambe del letto, e un giro di corda anche all'armadio con tutta la roba dentro; e poi ancora, legò il letto alla scrivania (senza mai staccare la corda, s'intenda), e ancora, via un giro di corda alla maniglia della finestra, poi alla maniglia della porta, e di nuovo a stringere e girare e stringere; attorno alla cassettiera, ora; alla abat-jour, ai libri, pacchi di libri legati tra loro e poi ancora legati alla spalliera del letto, e poi di nuovo a passare la corda e a legare e a girare attorno alle gambe della scrivania; e ancora e ancora, di nuovo, sì, tutto legato con tutto in modo che, pensava Gualtiero, niente se ne sarebbe andato mai più via da me.

Lega lega, dopo un po' la sua stanza era diventata tutto un passaggio di corda che univa in un unico invrucchio ogni oggetto, seppur piccolo (legò persino le penne tra loro e i fogli sparsi di giornale e i calzetti lasciati per terra), ad un altro oggetto, fino a formare una rete di corda con agglomerati di cose qua e là, nemmeno tanto brutta a vedersi.

Alla fine mancava solo lui. Il genio iniziò a incatenare anche se stesso avvolgendosi la corda attorno al corpo, su per le braccia, e poi le gambe, e poi i suoi piedi alle gambe del tavolo, e poi di nuovo se stesso, e poi un giro attorno al comodino, ben stretto alle caviglie, di nuovo il braccio libero, poi ancora un giro attorno alla vita e via via così, finché Gualtiero si ritrovò incastrato e girato e incatenato così bene che nemmeno le mani erano più libere. Veramente quella destra sì: teneva la cima della corda e gli dava pure un po' fastidio. Allora riuscì a incastrare pure quella e ad annodarla con l'aiuto della bocca ad altezza petto. Poi si lasciò cadere come un salame e rotolò a terra sfinito. La fatica di legare tutte quelle cose a sé non era stata affatto poca.

A vederlo da fuori, sembrava un deficiente. Anzi, era proprio un deficiente.

E adesso?
E adesso l'unica cosa che poteva fare, legato come un salame e steso a terra, era immaginare.

Solo che i pensieri, le storie, le fantasie, i personaggi, le follie, non potevano essere né raccontate né scritte perché quel genio di Gualtiero era solo in casa, proprio così, non sarebbe servito nemmeno urlare, il telefono era lontano, nella foga non ci aveva mica pensato, al telefono, il blocchetto degli appunti era lontano, legato per bene alla spalliera del letto, la penna era lontana, ben legata anche lei alle altre penne ma lontana, il computer, figuriamoci, legatissimo e lontano pure quello.

Per ironia della sorte, l'unica cosa che a Gualtiero restava da fare , lì, avvolto come un salame dalla sua stessa corda, era immaginare e lasciare i pensieri liberi di spaziare, vagare e andare. Senza alcun limite, senza legacci, senza freni. In totale ed enorme libertà.
Gualtiero pensò frasi meravigliose, sembravano musica, accostò parole mai accostate prima, vide succedere storie incredibili, nascere personaggi bizzarri, vide incastri di vite, avventure, morte, amore, sangue e merda (che va sempre bene), immaginò un di tutto e di più che, però, non conosceremo mai. E perché? Perché Gualtiero, quel giorno, decise di legare tutto stretto stretto a sé con una corda. Un genio.

E poi è morto.

No, dai, non è vero. Poi è entrata sua mamma in camera, l'ha guardato steso a terra avvolto come un salame, ha guardato la stanza e ha detto:
"Gualtiero, sei un deficiente".

Poi l'ha slegato e gli ha detto: "vieni a mangiare va', che è pronto. Poi però metti a posto la tua stanza e fai i compiti, che domani t'interrogano".

Lui l'ha anche sentita dire, mentre si allontanava: "ma pensa te se mi toccava avere un figlio deficiente che a quindici anni se ne inventa ancora una per colore."

lunedì 9 agosto 2010

Fatti non foste

Come molti saprannno la Settimana Enigmistica, quella lì che si vanta sempre dei milioni e milioni di tentativi di imitazione, esce di sabato. Accade quindi che il venerdì (che te sei in vacanza in spiaggia sotto l'ombrellone dal lunedì) hai già fatto tutto il fattibile: hai fatto le parole crociate difficili con la matita e la gomma, quelle facili anche con la puzzettina sotto al naso, hai fatto unire i puntini dal tuo figlio piccolo, hai fatto non senza moccolo il numero 86127 (chi l'ha provato, lo sa), quello destinato ai solutori più che abili, aprirei una parentesi: quello destinato ai solutori via di testa, e chiudo la parentesi. Ti sei sciroccato tutte le barzellette, anche quelle scritte, le linotipie a chiave, i bifrontali e le metamorfosi, hai aguzzato la vista e hai risolto tutti i casi polizieschi e i Quesiti con la Susi o chi per lei (a pag.46, ovviamente). Allora succede che ti metti a leggere tutto quel che resta da leggere, tutto tutto tutto, ed è tanta roba, uno non direbbe mai. Se finisco in un isola deserta voglio una Settimana, si sappia. Ed è così che, quel venerdì sotto l'ombrellone, sfoglia sfoglia mi capita di inciampare nella pagina STRANO, MA VERO! dove l'occhio mi cade su una piccolissima foto, anzi tre, e sulla sua sottostante spiegazione.

Valletta, presto! Faccia vedere il lucido. (Tradotto: cliccare su foto per vedere meglio. Qui le signorine non ce le possiamo permettere).



Ebbene: cosa vedono i miei occhi? Numero 27304, un matrimonio canino da Harrods. Ma che bella immagine! Penso fra me e me urlando e facendo voltare tutti.

(guardando attentamente la foto 1, ho notatola presenza del fotografo steso a terra mentre cerca il profilo migliore degli sposi. Altro pensierino tra me e me facendo voltare tutti)

Cari Muffin e Timmy, che dirVi?

Che d'ora innanzi riposerete le Vostre regali membra nelle Vostre stanze e nei Vostri lettini (stasera da me, domani da te, no dai, vieni anche domani tu da me, ih ih, ah ah, ok, dai ok, da me no da te ah ah. eccetera.)



dove Vi auguro di concepire tanti figlioletti.

Che la mattina il maggiordomo Vi porterà la colazione che degusterete a letto, se è Vostra abitudine.



Che, quando andrete in gita nella casa di campagna, potrete riposare nel Vostro lettuccio in old style.



Che vestirete alla moda in ogni occasione



senza farvi mancare i momenti di festa.



e per tenersi in forma, signora Muffin, potrà sempre andare a fare un po' di jogging mentre lui chiacchiererà al circolo del Polo con gli amici


per poi tornare a riposare nella chaise longue a vostra disposizione, ritirandoVi nei Vostri salotti per la Vostra intimità canina.



E vogliamo torglierci il gusto di fare shopping ogni tanto?

( Lo so che tu ora, lettore, stai urlando No No pietà basta No pietà. Fatti forza e arriva fino in fondo)

Oh no! Certo che no! E allora, via! Tesorucci, tornerete di nuovo qui, nel luogo che ha consacrato il vostro Grande Amore, Muffin e Tommy, a scegliere qualche nuovo capo d'abbigliamento per qualche party di zona!
Alè!



(Vuoi, poi, non concederti una pausa biscottino al bar interno? Suvvia, siamo seri.)



Davvero, carissimi Muffin e Tommy, non so come esprimere quello che provo per voi e quello che provo per questo Vostro giorno di felicità. Io sono una persona dotata di grande empatia. L'altro giorno per esempio, vi racconto, ero per motivi x in una sala d'attesa di ostetricia e c'era di fianco a me una signora in procinto di partorire il suo primo figlioletto. Debbo dirvi che tale era la mia empatia nei confronti del suo dolore (una doglia ogni 2 minuti) che mi sentivo anch'io le fitte in tutto il corpo, come lei. Abbiamo iniziato a chiacchierare, io le mettevo le mani dietro la schiena quando arrivava la fitta, lei mi diceva grazie, poi ci guardavamo e sorridevamo. Ad un certo punto mi è venuto da chiederle: "Vero che in questo momento lei odia suo marito?" Voi penserete, ma che cazzo di domanda fai? Eppure io so benissimo che si arriva anche a odiare il marito, in quei momenti lì, marito che per capirci era appena andato a prendersi un panino al bar, e prima di andare l'aveva guardata e le aveva chiesto: "Vuoi una grappetta?". E lei, infatti, dimostrazione che non mento quando dico che sono empatica, mi ha detto che sì, quella era esattamente l'emozione che provava in quel momento.

Bene, cara Muffin e caro Tommy, cari sposini di Harrods insomma, io Vi auguro con tutto il mio cuore e tutta la mia capacità empatica che nella meravigliosa vita che Vi aspetta assieme, Voi possiate, almeno un giorno, viver come cani.

P.S.
Le foto sono state scattate in gennaio. Chiedo perdono se la roba non è di stagione. I lettori comprenderanno.
Chi è arrivato fin qui vince uno snack canino. E una grappetta. Chiedere di Laika.

venerdì 6 agosto 2010

f.n.f.

Zona cucina, sparecchiamenti vari collettivi, balletti tra frigo e bidone della monnezza.

- Stasera, donna, avrai del tuo.
- Romantico?
- mmmhh... file not found.
- ...
- ma cosa vuol dire, cioè, in che senso "romantico"?
- amore, son quindici anni che stiamo assieme.
- AHAHAHAHAHAHAHA
- dai, stasera te lo faccio vedere cosa vuol dire romantico, va bene?

Ha avuto un mancamento all'indietro. Mi è anche parso che russasse già. Lo prendo per un sì.