mercoledì 29 settembre 2010

Sono una ragazza con i gieans

Ieri sono stata a Bologna, in macchina. Quando stavo per tornare alla macchina dopo aver fatto i giri, mi scappava la pipì e non sapevo dove farla. Dove si fa la pipì, se sei per strada in una città? Non resisto per tutto il viaggio, la faccio in autogrill tornando, ho pensato. Sono una ragazza con i gieans, sono una ragazza libera che si ferma da sola in autostrada in autogrill, parcheggia, scende dalla macchina, entra nell'autogrill, anzi, prima chiude la macchina (con la chiave, che in autogrill la macchina si chiude con la chiave), poi entra in autogrill, se vuole si beve anche un caffè, che è un pochetto stanca, poi va in bagno, poi esce dall'autogrill, entra in macchina e riparte.

Sono una ragazza con i gieans, mi scappa la pipì, vado in autogrill e la faccio lì, perché sono una ragazza con i gieans, pensavo mentre tornavo a piedi verso la macchina.

Sono entrata in un bar vicino a dove avevo parcheggiato, ho preso un caffè, ho chiesto del bagno, ho fatto la pipì, e sono tornata a casa dritta.

domenica 19 settembre 2010

pagina dieci

Sto leggendo un libro, e questo libro è Stirpe di Marcello Fois, e devo dire che questo è un libro che mi è piaciuto subito dalle prime righe.
Questo libro me lo ha consigliato la mia bibliotecaia preferita quel giorno che ne cercavo un altro ma che non era ancora arrivato. C'è un punto, a pagina dieci, che mi è piaciuto così tanto che l'ho letto centomila volte. Sembrerebbero anche tante, a contarle così, centomila, ma invece non sono tante per niente se è il numero di volte che leggi una cosa che ti piace. Infatti sta succendendo che non sto andando avanti col libro perché torno sempre a rileggere questo punto qua e allora sono ancora a pagina venticinque. Poi, siccome non ho un turmlb, mi ci manca solo un trumbrl a me, ho deciso che quel pezzo di pagina dieci lo metto qui, magari vi piace anche a voi.

"Lui quella mattina ha fatto tardi per una faccenda in casa; lei, anziché stare dietro alle tre marie, ha deciso di farsi avanti e di bussare. Lui dalla porta chiusa ha percepito familiare quel bussare e, contro ogni aspettativa, si è precipitato ad aprire superando con un balzo il fabbro in posizione vantaggiosa.
Ecco: in questa simultaneità non c'è Destino, c'è testardaggine. Gli amori durano esattamente un momento perfetto, il resto è solo rievocazione, ma quel momento può essere sufficiente a dare un senso a più di una vita. Così fu dunque, lui allungò un'offerta congrua per il Santo, quasi l'intera giornata di lavoro, e lei la prese allargando il palmo della mano perché lui potesse sfiorargliela con comodo. Un gesto di cui mai si sarebbe vergognata nonostante, nell'abisso del suo ragionare, fosse più licenzioso dell'ipotesi di concedere la verginità. Perché in quel gesto c'era un invito, e un invito è assai peggiore della semplice, stupefacente, fisiologia del desiderio. Lì non c'era stupore, c'era coscienza, intento preciso di disporsi a farsi toccare da quel maschio".

sabato 18 settembre 2010

Poi ci lamentiamo che.

Premessa d'obbligo: questo è un post di sfogo.

Ho qui davanti a me il libro consegnato a scuola per mio figlio di nove anni, quarta elementare (credo di aver capito che le insegnanti sono state obbligate a prendere questo).
Voglio evitare di dare giudizi sulla copertina. Rischio la feroce polemica.
Lo sfoglio.
E' il "Libro di scrittura".
Che bello, penso. Guardiamo.

Pagina 4. Cito.

"Scrivere un testo"
Il testo è un insieme di parole combinate tra di loro per dire qualcosa.
Proprio per questo ha sempre uno scopo, ed è importante conoscerlo, in modo da non perdere la bussola.

In mezzo alla pagina c'è un disegno grande, una ragazza seduta ad un tavolo, ha una penna in mano, un quaderno appoggiato sul tavolo ed è in procinto di scrivere.
A lato del disegno ci sono dei riquadri colorati dentro i quali le indicazioni in risposta al seguente sottotitolo:

UN TESTO PUO' SERVIRE PER:
(vediamo)

- informare
- ordinare
- invitare
- ricordare
- affermare
- esprimere emozioni
- divertire
- chiedere
- ragionare
- comunicare
- raccontare
- divertire.

Ah. Ok.
Peccato che manca uno. Importantissimo.

Giocare.

Poi ci lamentiamo che.

mercoledì 15 settembre 2010

Bookato

Insomma, è poi vero che c'è questo grande dibattito, no? sull'e-book, dico.
Sì no sì no.

Un giorno sono andata dalla mia nonna, le ho detto: nonna, sai cos'è l'e-book? lei mi ha detto: Eh? Poco sa cosa sono i libri, lei, figurati. Nella sua casa ce ne sono davvero pochi. Sa leggere, sì, certamente. Ha fatto fino alla terza elementare. Ma soldi per comprarsi dei libri, quelli no, non li aveva. E poi non c'era mica il tempo di leggere. Ma fa lo stesso.
"Sai nonna, l'e-book è praticamente un libro che invece che essere di carta è nel computer, e ne puoi avere tantissimi in poco spazio, come poter girare con tutta un'enciclopedia sotto al braccio, ma leggerissima". Ooooh, mi dice lei.
Io lo so che non le interessa tanto, questa storia qua dell'e-book, ma è così bello parlare con lei, lei si stupisce sempre di tutto. Si stupisce di una cosa anche se in un pomeriggio gliela racconti dodici volte. Si stupisce tutte le volte come se fosse la prima volta che gliela dici. In effetti per lei lo è, ogni volta, la prima volta che gliela dici.

Lo so che c'è un grande dibattito, e-book sì, e-book no. Lo spazio, ma l'odore, la comodità, ma l'affetto, la quantità, ma i segni che ci lasci. Eccetera eccetera eccetera.
Io però mi ricordo che a mia nonna, quell'altra nonna, la Teresina, quella nata nel 1910 circa, a lei non era piaciuta tanto la tecnologia.
Un giorno, negli anni cinquanta, mio nonno portò a casa una lavatrice. Una lavatrice, sì, quello strumento senza il quale ti voglio vedere io a fregare le lenzuola e le tovaglie chino sulla tavolozza dentro la bacinella grandissima con la spazzola in una mano e il sapone nell'altra.
Insomma, mio nonno che sentiva le donne che si lamentavano del freddo nelle mani a lavare lenzuola, e le vedeva anche, quelle mani provate; mio nonnno che amava tutte le novità (ecco, forse è stato più per questa cosa qua) e che era un generoso; mio nonno un giorno portò a casa la lavatrice, tutto fiero del gran gesto.

"Io quell'affare lì in casa mia non lo voglio", avrebbe detto lei.
"Va ben", avrebbe detto lui.

Inutile dire che le figlie sì, le mie zie la volevano eccome, la lavatrice.
Ma la nonna no.
"Col cavolo che io metto le mie lenzuola là dentro. Punto primo, di sicuro non lava bene. Punto secondo, io non mi fido".
Io non mi fido, a pensarci, è una cosa bellissima, detta ad una lavatrice.
E allora sono le figlie a fare il primo lavaggio. Prendono tutte le lenzuola della grande casa di campagna (che non so se avete una minima idea della grossezza delle lenzuola di una casa di campagna degli anni quelli), le prendono dai letti dei nonni, dei genitori, dei fratelli, delle sorelle, dei nipoti; lenzuola che hanno alle spalle almeno quattro mesi di dormite (che non so se avete una minima idea di come sono delle lenzuola dopo quattro mesi di dormita. No, secondo me nessuno di noi ce l'ha).
Prendono le lenzuola e arrivano davanti alla lavatrice. Ma mica ci stanno tutte, le lenzuola, nella lavatrice. Eh no. Una sola. Dentro in lavatrice. Col sapone della lavatrice. Che fa il suo lavaggio da lavatrice. E si sposta mentre lava, perché è una lavatrice con le ruote e quindi mentre centrifuga sbatocchia a destra e a sinistra, a destra e a sinistra, pensa che concerto, sbam! a destra sulla scala e sbam!a sinistra sul mobile basso; e poi a volte viene anche un po' in avanti, spettrale. Che un pochino la mia nonna aveva anche ragione a non fidarsi, a pensarci adesso.
Poi, finito il lavaggio-concerto, tolgono il lenzuolo e... Sorpresa! no, non è venuto mica bene. Guarda qua, ci sono ancora le macchie, non è bianco come viene con la cenere e il sapone e le sguarattate di braccia e mani forti.

Ecco, mia nonna adesso è tutta soddisfatta. La lavatrice non conta niente, vedi?
Ma le zie, invece, son tutte orgogliose della novità tecnologica. Le zie, stufe di mastelli e cenere e sguarattate di braccia e mani forti, sono felici. Fa tutto la lavatrice, le lenzuola le possono anche lavare più volte l'anno, non solo quattro o cinque.
Ma mia nonna non la vuole perdere così, la battaglia con gli aggeggi moderni, la sua battaglia personale contro la tecnologia.
Allora cosa fa? cosa si inventa la vecchia? Una mattina prende un lenzuolo buono solo da far stracci, gli fa due strappi stile Fontana nel mezzo e lo appende di fuori nel filo nel campo. Ecco cosa fa. E quando il nonno torna, tutta fiera, lo porta lì davanti al lenzuolo steso e gli dice "Guarda! Guarda qua che cosa fa la tua lavatrice alle mie lenzuola!"

Nonna uno, nonno zero.
Ma a mio nonno poco importava, sai, se le lenzuola le lavava la sguarattata di braccia e mani vigorose o la lavatrice.
A mia nonna sì, invece, importava. E molto.


Mia nonna, questa qui ancora viva, nata nel 1921, quella a cui sto raccontando dell e-book, anche lei finché ha potuto ha lavato a mano, china nella vasca, me la ricordo bene. Poi però c'era anche la lavatrice, per certe robe. Era una nonna più moderna, diciamo. Ma attenzione: lei faceva i distinguo. Io non li capivo, ma lei faceva dei distinguo precisi e credo anche di averle chiesto spiegazioni, un giorno, sul perché certe cose le lavava a mano e certe altre no; e non devo aver capito tanto bene. Mi sembra di ricordare che certe macchie in lavatrice non venivano. Credo. Comunque io sicuramente avrò fatto spallucce e sarò andata a giocare giù di sotto.

Con questa storia dell'e-book, alla fine, non so bene come pormi. Di sicuro se lo regalassi a mio papà, la prima volta che son scariche le pile, lo lancerebbe fuori dalla finestra e addio.
Mia mamma non ne parliamo nemmeno.

E io? Io, non mi sento di dire che la roba viene meglio a leggerla lì invece che là; e se per caso, mettiamo, un giorno mio marito venisse a casa con un e-book in regalo, non è che mi metto a strappare le lenzuola. Ci mancherebbe. Quantunque, per dire, non so. Ogni tecnologia vuole il suo tempo, dai, è inutile. E poi succede come con tutti gli agi tecnologici, che arriva un giorno che ti chiedi come hai fatto prima a fare senza. E' normale.
Anche mio padre, che non sapeva assolutamente inviare gli sms (tanto che la prima volta che me ne ha inviato uno, era in Etiopia, mi ha scritto "baci"e io ho seriamente pensato che l'avessero rapito e che il messaggio l'avessero scritto i rapitori per depistarci), ecco, anche mio padre, adesso, usa il cellulare in modo regolare e non saprebbe più farne a meno.

E' così, arriva per tutti gli aggeggi tecnologici, e succederà anche per l'e-book, il giorno in cui ti chiederai come potevi vivere senza.

A meno che tu non sia mia nonna Teresina.

venerdì 3 settembre 2010

Perché? (ovvero: arrendetevi, vi inseguiranno fino alla tana)

Nella mia cucina succede praticamente di tutto, e questo tutto succede mentre siamo insieme appassionatamente, perchè la cucina per noi è IL luogo.
Si mangia, si fanno i compiti, si rompono le susine a chi fa i compiti, si spacca la testa (o si tenta di) a chi ti impedisce di fare i compiti, si impedisce a chi vuole spaccare la testa di spaccarla, e a chi rompe le susine di romperle; si impedisce di essere impediti nello spaccare la testa o nel rompere le susine, perché a quel punto il desiderio di rompere e/o spaccare è salito alle stelle; si ascolta la musica, si va in rete, si parla, si litiga, si esce, si torna, si fa pace, si gioca a carte, si prende in giro il pesce, si dà dello stronzetto al granchio, si mettono le bocce vicine per vedere il pesce che vorrebbe attaccare il granchio e non capisce che c'è il vetro nel mezzo, lo si piglia pe' culo un'altra volta; si va sotto la tavola a giocare a biglie, si chiacchiera con gli amici, si sparpagliano sulla tavola tutte le bollette da sistemare da due anni a questa parte e sul più bello, mentre tu hai diviso le carte ed è tutto sotto controlo, lui ti dice: adesso sbaraglia perché dobbiamo apparecchiare.

Di tutto, insomma.
Tra il tutto che si fa in cucina, stando insieme, c'è stato un giorno che ho pensato bene di farmi la ceretta. Sì sì, la ceretta alle gambe.
E così, mentre i bambini giocano con il pallone (di pezza) sotto e attorno alla tavola (no, la cucina non è grande, fanno i "passaggini") e Van prepara da mangiare, io mi faccio la ceretta. Beatamente, chiacchierando, in compagnia. Penso.
Illusa.

Errore. Grossissimo. Gravissimo. Enorme errore.

- Mamma, cosa fai?
- la ceretta.
- perchè?
- perchè voglio le gambe lisce.
- ah. E perché il papà non se la fa?
- perchè l'uomo è bello con il pelo.
- e la donna no?
- mh, no.
- perché?
- perchè la donna è bella con le gambe lisce.
- perché?
- perché sì.
- non si dice perchè sì.
- ok. Allora: perchè il pelo nella donna non è bello.
- perché?
- diciamo che a me piace così.
- ...e allora ti fai le gambe lisce.
- sì.
- Ho capito. Posso toccare qui?
- NO!
(ovviamente tocca)
- Troppo tardi. Adesso hai le dita tutte appiccicate! Tieni questa carta, pulisciti.


- Posso massaggiare io con la mano sopra la carta?
- sì dai, fai così, striscia forte.
- così?
- sì, bravo.
- e adesso strappi, vero?
- sì.
- posso strappare io?
- NO.
- e perché?
- Perché tu non sei capace e mi fai male.
- ma tu non ti fa male?
- no.
- perché?
- perché io so come si fa e tiro forte.
- Ma anch'io sono forte, guarda, ti faccio vedere.
- NO. Tesoro, lo so che sei forte, ma questo lo faccio io.
- posso provare anche io sul mio braccio?
- no!
- e perché?
- Primo, perché tu ti fai molto male perché hai la pelle delicata. Secondo, perché poi ti resta il buco di peli nel braccio, non va bene.
- ma la tua pelle non è delicata?
- un po' meno della tua.
- perché sei vecchia, vero?
- sì, amore.
- ...
- Ma ti vai a fare un giro, per favore?
- No, mi piace vederti che ti fai la ceretta.
- Ecco, te pareva.

strap. strap. strap.


- Ah. Mamma...
- Cosa-vuoi.
- perché vuoi essere bella con le gambe lisce?
- ANCORA!!!
- Sì.
- Ok. Lo faccio per essere bella per il papà.

Finalmente.
Se ne va.
Va a tirare due calci con suo fratello.
Fine delle domande.
Chissà poi perché.

(Però, giuro, la prossima volta me la faccio in bagno, chiusa a chiave a tre mandate).