sabato 31 dicembre 2011

Buon

Ecco, ci siamo.
Arriva la fine dell'anno, ci mettiamo tutti ad esprimere un desiderio e poi, magari, si realizza pure qualcosa.
E se quest'anno facessimo il contrario? Diamo qualcosa e chiediamo che in cambio ci sia lasciato il desiderio.
E poi viviamo tutto il 2012 in perenne stato di eccitazione e di bramosia fisica e mentale.

Vai, fatta, ci sto.

Buon 2012
Buon desiderio.

domenica 25 dicembre 2011

Pace giustizia e amore

Mi ricordo che quando ero piccola e gli adulti chiedevano a noi bambini cosa desiderassimo per Natale, la risposta più alla moda era dire, con le mani dietro al schiena, dondolando e con gli occhi da Bambi, "Vorrei la pace nel mondo". Al che gli adulti facevano ooooh, ti davano il buffetto sulla testa e tu eri buono e sapevi che sotto l'albero arrivava il robot di Mazinga Z con i pugni che schiacciavi un bottone sul polso e partiva la mano a pugno.

La pace nel mondo, sìsì, tutti i bambini rispondevano così. Forse ce lo ripetevano a scuola, che dovevamo volere la pace nel mondo, non so perché lo dicessimo sempre, fatto sta che era un grande classico e tutte le volte che sentivo un bambino che lo diceva (i migliori erano quelli intervistati per la strada), dentro di me pensavo: FALSO! Menti sapendo di mentire, manco sai cos'è la pace del mondo e in verità sappiamo tutti e due che tu vuoi Mazinga Z.

Oggi non mi capita di sentire bambini che vogliono la pace nel mondo, anzi: oggi se glielo chiedi hanno le idee chiare e ti recitano la lista dei giochi a memoria. La pace nel mondo non c'è manco alla fine della lista.

A scuola comunque abbiamo imparato diverse canzoni e poesie di Natale. Tra i vari pensieri a Natale troneggiano sempre pace, giustizia e amore.
Allora un giorno, finite le canzoni, nell'angolino delle chiacchiere m'è venuto da chiedere ai bambini se sapessero cosa vuol dire giustizia. Su amore e pace ho dato per certo che sappiano cosa siano, anche a tre anni.
Lancio la domandona sulla giustizia. Una bambina alza la mano "ioioioioioioioioiioloso"
Dimmi, dico io.

"Giustizia è quando hai finito di mangiare e butti gli avanzi nel bidone".
Non indaghiamo.
Qualcun altro vuole provare a dire cosa significa?
Si guardano l'un l'altro con due occhi come bega. Nessuno lo sa, ma uno dei temerari tenta il colpo: "La giustizia è Babbo Natale!"

Certo, generalmente a Natale lui c'entra sempre.

No, spiego, non è proprio così. Poi tento di instradarli: mettiamo che due di voi stiano litigando perché vogliono entrambi una macchinina e non riescano a mettersi d'accordo, cosa fanno? Prima litigano, poi se non riescono a fare pace da soli chiamano la maestra che dice cosa è giusto fare e fa giustizia (e bla bla bla).
Oppure lo fa la mamma, il papà, la nonna, un grande che sta con voi.
Avete capito?
Sìhìhìhìhì, dicono in coro.

Ma, dico io, tra due adulti? Chi fa giustizia? Mettiamo che due adulti litighino per la strada e non si mettano d'accordo, come fanno? Tutti e due sono convinti di avere ragione, come fanno se non riescono a mettersi d'accordo da soli?

Ci pensano, si guardano ma nessuno sa cosa dire.
Il solito temerario alza la mano e dice, sicuro di sé: "Io lo so! Se due adulti litigano per la strada e non si mettono d'accordo, viene Gesù".

Il mio, guardate, è un lavoro durissimo, perché lì non puoi ridere. Però sorridere sì, e infatti io sorrido molto.
Quindi viene Gesù in persona a mettere giustizia? Sì, certo, perché è Natale.
L'altro grande protagonista infatti è sempre Gesù, quindi a dire Gesù nelle risposte, a Natale, difficilmente sbagli.

E' iniziato un dialogo interessante tra di loro, uno ha detto che è impossibile perché Gesù è morto, l'altro ha detto che risorge nei momenti che serve, l'altro ancora ha detto che è nel nostro cuore, però non si è capito come veniva fuori dal cuore nel momento giusto a fare giustizia, forse suggerisce la risposta nelle orecchie di entrambi, oppure solo a chi lo ascolta, l'altro ce l'ha ma non lo ascolta.

Insomma, raccolte le idee, ho spiegato un po' che succede tra gli adulti e loro sono sembrati soddisfatti. Io in verità un po' meno, perché mentre spiegavo in modo semplice come vanno le cose tra gli adulti, mi sono accorta che purtroppo nella maggioranza dei casi, oggi, la giustizia è davvero come Babbo Natale, o come Gesù: o è una cosa astratta in cui smettiamo di credere dopo i dieci anni, oppure è morta anche se speriamo sempre che ci sia, nel mondo. Ma hanno circa quattro anni, a capire quanto è complessa la faccenda fanno in tempo.

Insomma, non è la prima volta che mi trovo a insegnare valori, comportamenti, idee che so già che saranno contraddette appena i bambini incontreranno il mondo adulto.
Però oggi è Natale e non voglio pensare triste.
Sapete cosa c'è: adesso davvero ci auguro pace, giustiza e amore. Ma la giustizia prima di tutto (detto niente), ché senza giustizia ho idea che non ci sarà mai né pace, né tanto meno amore.
Auguri a tutti.

sabato 3 dicembre 2011

ti posso baciare?

Poi succede che sono al banco della carne e si avvicina una ragazza carina, ha il berretto grigio calato sugli occhi grandi e ha vissuto almeno dieci anni meno di me, io li vedo, sono tutti e dieci lì tra me e lei, anche se sono tutti i miei.
Guardiamo entrambe dentro al grande frigo. Solo che ci guardiamo dentro con occhi e pensieri diversi. Ancora non so i suoi ma i miei, mentre passo lo sguardo tra i pacchi di carne, sono più o meno: che palle, faccio da mangiare sempre le stesse cose non ho fantasia sono di una monotonia mortale.

Signora posso chiederle una cosa? Certo, dimmi.

E allora c'è lei che mi dà del lei e mi chiama signora, e soprattutto ci sono io che le do del tu.

Queste vanno bene per fare le fettine impanate? Perché io non son capace di fare da mangiare, sono appena andata a convivere, non sono capace, come si fanno? Mi scusi se glielo chiedo, è che non so proprio come si fa.

Posso baciarti?

Io la guardavo e poi ci guardavo da fuori, lei che mi dava del lei e io che le davo del tu; io, che quando era stato il mio momento tutto avrei voluto tranne che fare da mangiare, lui che aveva detto che gli piaceva e lo avrebbe fatto lui sempre e poi come è finita che invece preparavo sempre io, non lo so proprio, e insomma ho dovuto imparare a impanare la fettina, e così eravamo lì, io e lei e il suo berretto di lana grigio sugli occhi, e lei che mi dava del lei e io che le davo del tu e la volevo abbracciare, come una zia, la volevo abbracciare.

Insomma, le dico io, è facile, fai così e così, anche un po' di limone, vedrai, non è difficile.
Grazie, mi dice, grazie davvero.

E poi pensavo che ho quasi quarant'anni, ci pensavo anche prima di arrivare al supermercato mentre guidavo, è una settimana che ci penso, a come cambiano le cose, pensavo ad altro, non poprio alle fettine ma alla fine è la stessa cosa, fai le stesse fettine per dieci anni e intanto dentro ti cambia tutto.
Pensavo che è strano, il tu, il lei, la fettina e la signora che poi
sarei io. Però un po' è anche bello.
Cambiare, dicevo.

lunedì 21 novembre 2011

Va a messa

Leggo ultimamente su alcuni giornali, nonché ascolto alla radio, il racconto della giornata di Monti: Monti che va a messa, Monti che ha la stessa donna da sempre, Monti che la domenica va alle mostre con la moglie, e paga il biglietto.

Bravo Monti, penso.
Mi auguro per lui che sia un uomo realizzato e felice.

Però sento un bruciorino allo stomaco verso questo sbandieramento della vita di Monti.
E allora il bruciorino mi ha portato a chiedermi perché lo fanno, perché tutto questo sbandierare la sua proba vita privata.

Cosa ci sta dicendo il giornalista raccontandoci la vita di Monti?
Semplice: consapevolmente o no, ci sta vendendo il nuovo personaggio.
Non sto dicendo che Monti non vada bene, come faccio a dirlo adesso? Io mi auguro che ci sia una svolta, che ci si possa fidare d'ora in poi delle istituzioni, ci mancherebbe. Quello che vivo con fastidio è altro e non c'entra assolutamente nulla con Monti e il suo governo.
E' che sono stufa: questo tipo di racconto mi suona tanto come una pubblicità, e quando c'è la pubblicità io voglio cambiare canale. E' automatico.

La pubblicità indica un modello di vita, e lo fa attraverso i consigli agli acquisti: ti vende la merendina e intanto ti dice come devi fare colazione, ti indica la vacanza e ti dice che devi andare in vacanza, ti mostra una coppietta a cena e ti indica come deve essere la coppia felice... E noi ci siamo abituati a quella (cattiva) maestra di vita talmente tanto e in modo così automatico che non ce ne rendiamo più nemmeno conto.
Esempio: a scuola mi è capitato di suggerire a due genitori alcune strategie educative e mi son sentita dire: ah, sì, giusto! come dice la tata Lucia!
E ciò è vissuto come del tutto normale.
(Per fortuna che i miei studi sono legittimati dalla tv! sono credibile, fiuu)

Allora, gente, se non sentiamo il bruciorino quando arriva questa pubblicità, ma anzi, ci sentiamo rassicurati dallo stile di vita di quest'uomo e automaticamente ci fidiamo, come se davvero cosa mangia a colazione avesse a che fare con le sue future manovre "tecniche", allora significa che nonostante tutto non è cambiato niente nel nostro modo di pensare e che il berlusconismo è ancora vivo e vegeto: siamo gente che crede nella pubblicità. Ci sarà forse discontinuità nei fatti burocratico-economico-politici, ma nessuna discontinuità nella nostra testa. Nessun passo avanti. Si continua ad avere bisogno dell'eroe in cui identificarsi e a cui fare il tifo, e la stampa e la televisione creano una nuova narrazione ad hoc per venderci un nuovo prodotto.

Ne usciremo mai?
Io spero solo di non essere l'unica a sentire questo bruciorino.

giovedì 17 novembre 2011

di questi tempi

Oggi a scuola con i bimbi di cinque anni in palestra abbiamo fatto un gioco divertentissimo: io mettevo la musica e loro ballavano, correvano, facevano quello che volevano, liberamente. Quando poi spegnevo la musica, loro dovevano cadere a terra e restare lì fermi finché non la facevo ripartire. Poi ho fatto una variazione e allora quando la spegnevo dovevano stendersi con le gambe per aria. E poi ancora: mettersi con le mani per terra e il sedere per aria. Alla fine, ultima variazione, potevano scegliere una delle tre a piacere.

Ci siamo divertiti un sacco. Ridevano, saltavano, correvano, cadevano. Li vedevi che erano felici proprio. E anche io a vedere quanto erano felici, ero felice.

Ad un certo punto una bambina mi si è avvicinata (ero seduta in terra di fianco allo stereo) e mi ha detto: Tieni maestra, il biglietto (per finta), e poi anche la sua amica mi ha dato il biglietto (per finta).

Io l'ho preso (per finta) e ho sorriso e poi ho pensato che a me, a cinque anni, non mi sarebbe mai venuto in mente di dare il biglietto alla maestra che mi faceva fare una cosa divertente.

martedì 15 novembre 2011

Ma dai!

Ho fatto una ricerca su google, di quelle ricerche così, un po' cretine anche, di quelle ricerche che non sai bene cosa vuoi cercare.

Ho cercato sotto immagini la "donna anni 40" e poi via via anni 50, anni 60, fino alla donna del 2010.
Potete immaginare la classica icona della donna anni 40 (un'attrice), così come di quella anni 50 (davanti ad una cucina), anni 60 (su una vespa), anni 70 (con le braghe a campana), Pamela Anderson in costume rosso con due tette così che corre in spiaggia per la donna anni 90, e così via.

Ebbene, due cose mi hanno incuriosito: tra le immagini della donna del 2000 c'è la De Filippi, per quella del 2010 Berlusconi.

sabato 12 novembre 2011

eh

Sono andata a fare colazione al bar e mi son detta prendo il quotidiano che c'è e leggo le notizie, vediamo; e c'è La Stampa e un bell'articolo di Gramellini che si intitola Buonotte che dice che è dal 94 che ci zuzziamo quello lì (non proprio queste parole esatte, ma insomma) e che ha convinto la gente a votarlo, che gli ha creduto "per mancanza di filtri critici o semplicemente di alternative".

Ecco, io tutte le volte che vinceva mi mettevo la mano sulla fronte dispetarata, sapevo dove ci avrebbe portato. Dalla disperazione passavo alla rabbia verso chi lo votava e poi alla considerazione amara che forse l'Italia, a sto punto, se lo meritava, uno così. Adesso son qui che mi dico che la democrazia è fatta così, che la minoranza si becca le decisioni della maggioranza, giusto? Va bene, mi son detta, però adesso sarebbe bello che LA CAZZO DI MAGGIORANZA che l'ha tenuto su a fare le macerie ci chiedesse scusa, a noi minoranza che comunque paghiamo TUTTE le conseguenze. Perché alla fine questa cosa dell'ignoranza e della mancanza di filtro critico è una colpa, e non ce la possiamo permettere.

Adesso andate a guardare le tette del grande fratello, maggioranza.

lunedì 7 novembre 2011

della carta

Cartoleria

Scusi, ha quella carta che voglio io, quella così e così?
No, ma abbiamo l'altra, quella cosìcolà
Acc! Ma io non mi trovo bene con questa, vorrei l'altra
Eh, ma l'altra l'ho finita, dobbiamo ordinarla, arriva mercoledì
...
...
Come faccio adesso? Va bene, mi dia lo stesso un foglio di questa cosìcolà, che non resisto, ma poi ordinatene seicento chili dell'altra eh, vengo mercoledì
Ce l'abbiamo dalla mattina, se crede
(e qui ho capito quanto devo essere sembrata disperata)
No, vengo nel pomeriggio che passo di qua
Va bene
Grazie intanto, quanto le devo eccetera eccertera.

Ma io dico, ordinare della carta. Che al giorno d'oggi è più difficile trovare della carta in cartoleria che dell'uranio arricchito dal tabacchi. Mica era la prima cartoleria in cui la cercavo.

comunque questo era un post sul desiderio.

lunedì 24 ottobre 2011

domani


Domani lo avrò in mano, il terzo libro di Sara.
Sono emozionata.

(lo trovate a Lucca Comics (self area) e sarà presto anche nelle librerie, oppure qui)

sabato 22 ottobre 2011

punti di vista

Forse qualcuno di voi si ricorda di Madhi; per chi avesse voglia di leggersi un lunghissimo vecchio post, ne parlai qui.
Madhi è un ragazzo africano che sta cercando di vivere in Italia e che ogni tanto passa a trovarci e si ferma a bere un caffè e a fare due chiacchiere. Adesso è un po' che non lo vedo, dice che forse in autunno riusciva, dopo tanti anni, a tornare dai suoi. Spero.

In primavera, a ridosso dello scoppio della guerra civile in Libia, passò a trovarci e gli chiesi un parere. Ricordo bene che lui mi rispose sorridendo, molto sicuro di ciò che diceva: Gheddafi è finito. Prima o poi lo trovano e lo uccidono.

Io gli dissi che probabilmente lo avrebbero catturato e processato. Mi guardò tenero. E poi mi disse con il suo italiano ancora un po' stentato:" da noi non è come qui da voi, che si fanno i processi e poi dopo magari uno, un mostro come quello lì o un assassino, gli calano la pena ed esce per buona condotta e torna ad ammazzare. Da noi ti ammazzano, sei finito. E per me è giusto, deve essere così, via! Così la gente ci pensa di più prima di ammazzare un altro. Hai ammazzato? Allora devi morire. Paghi con la vita. E infatti lui non arriverà mai ad un processo, è già finito, lo ammazzeranno, ed è giusto così. Siete voi che sbagliate.

Mi impressionò la sua schiettezza. Sono profondamente contro la pena di morte e avrei voluto iniziare a parlare e parlare e parlare. E invece quel giorno, di fronte a lui, a quegli occhi che non so mica quante ne hanno viste, io non seppi dire beo. Era come se sapessi che qualsiasi discorso o qualsiasi argomentazione, per quanto ben posti, non lo avrebbero mosso di un passo.

Ogni tanto ci penso ancora.

martedì 4 ottobre 2011

sono stata alla blogfest e ho vinto

volevo scrivere la mia su questa festa che è la blogfest.

svolgimento

L'anno scorso per la prima volta sono andata alla blogfest, dice che forse spinoza.it vinceva dei premi e allora via con gli spinozi a vederci e a ridere insieme, che capita di rado e quando capita è sempre molto bello.
E insomma l'anno scorso eravamo là dove c'erano i cuscini per terra e ci annoiavamo un po', allora io e AleSerena vediamo un biliardino abbandonato e decidiamo di fare una partitella. Sempre bello. Iniziamo a fare la partitella e, vedendo che egli faceva finta di non saper giocare per cavalleria, gli dissi che ero bravetta e poteva anche smettere di fare finta di non saper giocare, che non mi divertivo. Invece non sapeva giocare veramente e allora io ho vinto mille a uno (per autogol della sottoscritta) e ho riso tantissimo perché delle volte giocavo anche in difesa, la sua.

Allora quest'anno eravamo nella spalmbeach e c'erano due biliardini e così mi chiamano per una partitella, io sono felice e corro a giocare, solo che capito in squadra con aleSerena; cogliendo la tragedia di questo fatto, un po' mi dispero dentro, dico Guardate che lui non è capace, mi faccio il segno della croce, gli avversari sono lo Splendido e la Laura, dico Laura tu sei capace? lei dice una cosa che non ricordo bene ma capisco che è una mezzasega (non si dice mezzasega), allora dico Ok, siamo equilibrati, si può fare. Mi metto in porta per limitare i danni, lo Splendido è in attacco contro di me, credo di ricordare che si tira su le maniche della camicia, io inizio a sudare, mi faccio tanti segni della croce che ho paura di slogarmi il polso, il polso mi serve.

Iniziamo.

E niente, aleSerena fiocca subito dei goals incredibili sotto lo stupore da occhi a palla della sottoscritta che con uno sforzo del tutto inutile tenta di contenere la felicità. Urla di gioia.
Sei andato a ripetizione tutto l'anno tu!
! ammetterà.
Tutto l'anno.
Bravo!

Non passava un goal dalla mia porta neanche a pagare. Lo splendido allibito dice Mai mi hanno fatto uno-due così. Io non so cosa cosa vuol dire uno-due ma so che la mia difesa è una roccaforte che neanche il famoso muro, ci sono cecchini appostati tra le guglie, sparano alle gambe degli omini all'attacco, sangue, crocerossine, amori che nascono in trincea, soldati che scrivono lettere a casa, scene di isteria, pianti, suoni di sirene, portantine, i bottoni di Napoleone che si sciolgono, le giubbe che aperte non scaldano più, che freddo maledetto fa in Russia, perdiamo la guerra per colpa dei bottoni, non divaghiamo, insomma lo Splendido non fa goal neanche a morire (i soldati) mentre aleSerena caccia delle bombe alla povera Laura che intanto ogni volta si dispiace tantissimo e chiede scusa, una scena pietosa mentre io urlo di gioia per l'amico andato a ripetizione tutto l'anno.

Poi, però, lo Splendido mi ha fatto ridere.

Siccome io come è noto ai più sono una a cui non piace molto ridere, ho iniziato a indebolire la difesa e questa è stata una cosa che non è molto giusta, secondo me, fare ridere la difesa.

Comunque vorrei dire che nonostante tutto abbiamo vinto noi, pochissimo scarto, bellissime partite, brava Laura, mi hai fatto anche gol dalla tua difesa, una sleppa pazzesca, che io dopo ho detto Eh no eh, e volevo vendicarmi, ho anche provato a fare un tiro cattivo, s'è sentito il boato del pubblico, l'ovazione, la Chiara ha preso paura, ha detto Ma qui rischio che mi arrivi una palla addosso, secondo voi? e noi Nono stai tranquilla. Ma non ho fatto goal, purtroppo. Però abbiamo vinto noi lo stesso.

Sono felice, siete belli, poi per fortuna che ero in squadra con uno bravo.

Poi vorrei scrivere una cosa sul tacco 12, ma magari domani, dai.

venerdì 23 settembre 2011

Mi invento i detti famosi

Ti voglio! dice il formaggio alla pera, che cadendo dal noto pero lo guarda e non capisce. Ti voglio! ripete lui con decisione. E' un bel pezzo di formaggio grana, lui. La pera è la morte sua, lo sa lui e lo sa il contadino che si gode la scena da sotto un albero; il pero, appunto.
Lo sanno tutti, del fomaggio e della pera; che sono la coppia perfetta, dico.
Non ci si può mettere per traverso a un siffatto destino.
Però c'è che la pera è un pochetto testarda, sembra faccia di tutto per fuggire a quel meraviglioso odine universale cosmico pensato per lei; di finire con quel gran pezzo del grana, dico.

E insomma ce ne vorranno di peripezie perché il buon fato si compia (è sempre così, che la necessità è per vederci felici e fa pure di tutto, credete, e noi invece facciamo di tutto per rovinare e complicare le cose, e essere infelici), finché la pera s'arrende (s'accorge? si sveglia?) al buon formaggio, facendo di quella accoppiata la migliore dei secoli.
C'è da dire che mai come quel formaggio e quella pera.

Da cui il famoso detto "non fare la pera", a intendere che non bisogna accanirsi a rovinare i piani di un buon destino pensato per noi complicando, incasinando, correndo, scappando, ingarbugliando, ragionando in maniera logica e ragionevole e ostinandosi a remare contro.
Pfiu.

Va anche detto che "due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno formano, quando reagiscono tra loro una sostanza, l'H2O, le cui qualità non sono riconducibili a quelle dei due elementi fondamentali H e O. L'acqua è qualcosa di diverso, non è solo la somma di determinate qualità individuali e sarebbe insensato ogni tentativo di ridurla alle sue singole componenti. E' proprio questo genere di sciocchezza che non di rado commettiamo. [...] Ogni rapporto (fra atomi, cellule, organi, uomini o nazioni, poco importa) è qualcosa di più e di diverso delle componenti che i due partner portano con sé nel rapporto: dall'alchimia scaturisce una qualità emergente sovrapersonale." (da Paul Watzlawich: Di bene in peggio)

E il contadino lo sa.

martedì 9 agosto 2011

Quando è amore, è amore


Ho fotografato il peperone perché io sono innamorata, del peperone. Era sulla tavola, così, da solo. L'ho visto e siccome l'amo, sono andata a prendere la macchina fotografica e l'ho fotografato, perché è bellissimo. Però è anche letale, mi uccide dentro tutte le volte, quello lì. Io non gli so resistere e dai una, dai due, dai tre, tutte le volte che me lo trovo davanti (sulla pizza, sui crostini, cotto, crudo, a fettine) io lo mangio e penso che la prima la seconda la terza la quarta volta è stato solo un caso se poi mi son venuti dei crampi alla pancia da stare in stato comatoso per due ore, tipo coccodrillo.

Quando è amore, è amore.

E poi volevo dire anche che le ante bianche con due maniglie che si vedono dietro sono di una credenza che fu della mia bisnonna, e poi della mia nonna, e adesso è mia.
Spendo due parole anche per quell'amore lì:
Credenza della bisnonna: 1930-vivente.

lunedì 1 agosto 2011

sempre sui luoghi di confine

Il momento prima di andare a letto, ogni genitore lo sa, è il luogo delle confessioni intime, delle frasi buttate lì, dei bicchieri d'acqua dopo aver spento la luce, dei riti della buonanotte che si vorrebbero infiniti.
In uno di questi luoghi di confine, l'altra sera, al buio, mi ha sussurrato questo:

"Mamma, io sto attraversando una fase in cui ho molta paura del buio, ma moltissima. E' come se tutte le paure fin da quando sono piccolo si fossero sopressate nel buio. Ma non so dirti quali di preciso, la paura è una cosa profonda, non è su delle cose in particolare. La paura è una cosa molto, molto profonda".

***

Mio figlio grande ha dieci anni e già un discreto talento nel raccontarsi le emozioni. Dal canto mio, che non ho paura del buio anzi lo adoro e ci ho pure scritto un librino per bambini, adesso son qua che mi chiedo dove si siano sopressate le mie.

mercoledì 27 luglio 2011

Ma sì, dai

Idee chiare fin da piccoli: "Io voglio fare il re, però sarò buono con i miei schiavi. Basta che stiano seduti a tavola quando mangiano, che mi ascoltino, che facciano quello che voglio io, ma anche possono fare quello che vogliono loro, delle volte."

venerdì 22 luglio 2011

Il fatto è

Il fatto è che lei quella sera non aveva alcuna voglia di uscire, né di vestirsi, né prendere la macchina, né fare la strada, arrivare, parlare, ascoltare. Quelle serate così, di quei periodi così, di quelle volte così che vuoi solo stare nel letto a puntare il soffitto, prona, e magari poi dormire, perché non ne va una dritta ed è inutile accanirsi, bisogna aspettare, cosa vuoi fare.
Ma niente, véstiti ed esci stasera ci son tutti non puoi mancare non fare la depressa vieni.
E andiamo.

E mentre si veste distratta davanti allo specchio a spalle basse e avvolta nella tristezza dei suoi trentaqualcosa anni e non me ne va dritta una son solo una vecchia stronca abbandonata dalla fortuna, e sua nonna dall'alto dei suoi ottanta che le dice io alla tua età saltavo i fossi per il lungo, hai ancora tutta la vita davanti, sei una giovinetta; e sua sorella piccola che dal basso non dice niente ma scrolla la testa a ribadire non si sa bene cosa, ma le sorelle piccole ribadiscono sempre con acidità qualcosa di brutto che pensi già da sola; mentre succede tutto questo lei ha già la borsa sotto braccio, le chiavi in mano e scende le scale. Scattano degli automatismi delle volte, non si sa cosa, qualcosa ti muove, ti prende da sotto con un calcio nel sedere. Insomma, si muove ed è già in strada.

E allora tutti lì con le macchine, la prendi tu la prendo io siamo cinque qua cinque là (ricordami perché mai sono uscita stasera), insomma rimesta rimesta il fatto è che bisogna che lei prenda la macchina e con lei ci deve salire Coso. Chi è Coso? Non si sa, è amico del cugino della ex della sorella della compagna di classe della vicina di casa di Carlo. Allora lui viene con te? E venga con me. E andiamo.

Il fatto è che lei quella sera non aveva proprio la benché minima voglia di parlare ascoltare socializzare, niente. Se era lì era colpa del calcio da salto olimpionico che la vita ogni tanto t'assesta nel sedere.
E loro due sono lì in macchina, a seguire il codazzo. Lui non parla, e lei nemmeno. Lui guarda fuori dal finestrino e lei ogni tanto lo guarda. Non è bello, no. Lui guarda fuori dal finestrino con la testa appoggiata. Forse anche lui l'hanno obbligato, siamo due obbligati stasera. Avrà anche lui una nonna di ottant'anni che saltava eccetera e un fratello piccolo acido come la varechina.
C'è da fare mezz'ora almeno, in macchina. Zitti tutti e due.
Va bene a lei, va bene a lui, di stare zitti. C'è la musica alla radio. Lei guarda dritto, lui guarda fuori dal finestrino. Che a guardarli potrebbe sembrare che lui si debba ricoverare all'ospedale per una malattia mortale, e il dolore, e la separazione e non ci sono le parole. Invece no. Tira tutta un'altra aria, lì dentro.

Sono i luoghi di confine, quelli che le fanno perdere la testa: l'attaccatura del collo alla spalla, tramonti e albe, il momento in cui si passa dal sonno alla veglia, i primi momenti con uno sconosciuto, che dopo le prime parole si è già passati di là. E in macchina in quel momento era pieno di luoghi di confine, e lui aveva un'attaccatura collo spalla che era la fine del mondo.


Il fatto è che lui poi muove la testa e le guarda le mani sul volante. Lo sguardo sale su per i polsi, le braccia, poi si ferma sul viso giusto un attimo. Ed è ancora il finestrino.
Che se c'è una cosa che la fa cascare è la possibilità del desiderio dell'altro.
Il fatto è che lui ha quel modo particolare di muovere la testa, guardare fuori, è sempre tutta colpa dei particolari, se è sì o se è no, è sempre il particolare che frega. E insomma sarà il suo modo di guardare, o il modo di muovere la testa, sarà la musica complice (c'è sempre una musica complice, decidete voi quale, non posso fare tutto io), sarà; il fatto è che quei due quella sera non sono mai arrivati a destinazione.

Il fatto è che poi, come nelle grandi saghe d'amore, del dopo, della vita matrimoniale, nessuno parla mai. Ma è andata bene eh, stavano molto zitti tutti e due. E poi c'era pieno di particolari, e desiderio, e luoghi di confine.


martedì 28 giugno 2011

va bene sempre

Mi è venuto in mente un giorno di tanti anni fa, facevo la terza superiore e c'era interrogazione di storia. Al torchio c'era un mio compagno che non sapeva niente, probabilmente nemmeno in che giorno della settimana fossimo (ma neanche l'anno, a occhio e croce). Non mi ricordo che periodo storico stessimo studiando in particolare, penso il medioevo, perché in terza liceo all'epoca si faceva il medioevo. Fatto sta che nel suo articolato discorso da si salvi chi può, ad un certo punto il mio compagno se ne esce con questa perla: "... e poi alla fine la gente si è incazzata di brutto perché hanno alzato le tasse a spannella".
La prof l'ha cacciato al banco.
Dentro di me l'ho sempre ritenuta una genialata: alla fine se ci pensi quella lì è l'unica frase che in un interrogazione di storia va bene sempre.

sabato 18 giugno 2011

Il mondo con i suoi occhi

Il piccolo è tornato dal campeggio, ovvero quattro giorni con le sue maestre della scuola materna (sante Donne) in una casa in un posto bellissimo: sono andati nel bosco di sera con la torcia, hanno visto le api e come si fa il miele, hanno mangiato la carne alla brace vicino al bosco, visto cerbiatti, daini, linci eccetera... Insomma, così era scritto nel programma e non vedevo l'ora di ascoltare le sue impressioni, i suoi racconti.
Segue piccolo estratto del nostro dialogo tornando a casa a piedi.

Il mondo con i suoi occhi.


- Allora, amore, come è andata in campeggio?
- E' stato bel-lis-si-mo, io volevo restare ancora.
- Eh, immagino.
- Lo sai che le api quando si ammalano gli danno una medicina che all'uomo fa malissimo, a loro le cura ma all'uomo fa malissimo: se hai il raffreddore e la prendi, ti viene il torcicollo, se hai la febbre, ti viene la tosse. Succede così, veramente. Invece alle api le cura.
- Ah però, non lo sapevo.
- Sì, e poi se un maiale incontra una lince, la lince lo batte.
- Ma pensa...
- Sì. E poi lo sai che abbiamo visto anche le piramidi?
- Le piramidi?
- Sì!
- Davvero? Allora siete andati anche in Egitto! Ma è lontano l'Egitto!
- Sì, siamo andati in Egitto; ma tranquilla mamma, quando siamo andati avevamo anche lo zaino. Pieno.

domenica 12 giugno 2011

A volte ritrombano

Io lo so, me lo vedo, lui adesso è lì che gira e rigira attorno al tavolo, cammina impazzito come Rockerduck. Lui è lì che pensa e ripensa, che s'arrovella. Bisogna trovare una soluzione subito, cazzo!

E dopo la mia previsione (avveratasi) della scena madre della presunta fidanzata dell'amatissimo, ora me ne esco con un'altra previsione, ancora più assurda, fantastica, sporca, pazzesca, e perciò verificabilissima, visti i tempi che corrono.
Poterbbe succedere (ma ancora non è bene esprimersi) che si raggiunga il quorum al referendum e che, presumibilmente, vincano i sì. Questo avrebbe delle conseguenze che ora non voglio approfondire, essendo questo un luogo di stupidipensieri; ma di sicuro EGLI, l'amatissimo, potrà giocarsi un po' più dificilmente la carta: resto e concludo perché mi vogliono i cittadini. Mh, direbbe mia nonna, se adesso con un reefrendum abrogano delle leggi che hai fatto tu, mio carissimo, questo significa quanto meno che NON sei più tanto voluto, e men che meno amato, caro mio (direbbe mia nonna).

Ed ecco, siore e siori, lo spettacolo nello spettacolo, la fiction namber uan: con un'uscita tragico romantica degna di un eroe, EGLI muore!

(per finta, ovvio).

Seguirà descrizione nei principali tiggì italiani:

"E' tragicamente morto buttandosi sotto le ruote -al fine di fargli riprendere il grip- di un pullman pieno di suore orfane mezze cieche e mezze parzialmente e differentemente menomate che stava precipitando su un carro di gattini destinato ai bambini di Cernobyl che stavano facendo disegni da vendersi in beneficienza a favore dei fratellini abusati ma ancora vivi dei bambini che muoiono di fame in Africa. Dice che subito prima di essere ingoiato dagli avversi e bolscevichi pneumatici, ha gridato "VIVA L'ITALIA!".


Funerale,
strazi vari e primi piani di chi l'ha tanto amato,
servi sull'orlo di una crisi di nervi,
poesie di Bondi,
era quel che era,
amen.

E poi?

A-HA, disse lei puntando secca il dito indice e protundendosi fisicamente in avanti con aria di sfida, con così tanto slancio e talmente tanto in avanti da rovinare brutalmente a terra.
Poi però si ricompone e continua saggiamente.

Voi avete visto poco beautiful. E questo, amici miei, nell'arte divinatoria della previsione del futuro italiano, vi penalizza. E perché? Direte voi ingenui.
Presto detto: cosa succede in beautiful quando il cattivo muore?
(E qui i più preparati probabilmente hanno capito, e tremano).
Ebbene sì: scappa fuori dal passato IL GEMELLO BUONO!

Certo amici, disse lei annuendo saputa e con convinzione e a occhi chiusi sedicimilavolte, procurandosi anche una lieve frattura al collo: IL-GEMELLO-BUONO.

Il gemello buono era nato contemporaneamente al nostro eroe, e dalla stessa madre (è sempre bene specificare, e poi nelle fiction bisogna avere cura nei dettagli e ripetere, ripetere, ripetere), ma non potendo la famiglia permettersene due, il gemello è cresciuto e bla bla. Il gemello buono ha alle spalle una vita di sacrifici, è pulito come il famoso culo del bambino e bla bla. Il gemello buono NON HA PROCESSI PENDENTI, ma eredita tutta la fortuna e continua a governare.

Bingo.

Amen.

Fine.

Vedremo, vi farò sapere.
La prima previsione ha dovuto aspettare quasi un anno per essere verificata. Chissà. E voi, amici, non perdetevi le prossime entusiasmanti avventure!
(anche dall'estero, se proprio, volendo).

(Il titolo nonché l'immagine dell'eroica fine sono scritti e pensati da quest'uomo qui che ringrazio)

venerdì 10 giugno 2011

è che ti prendono che non te l'aspetti

(spaccato di vita quotidiana)

- Mamma, guarda quante belle meduse nel secchiello, le portiamo tutte a casa.
- No.
- E perché no?
- Perché poi puzzano.
- Perché puzzano?
- Perché sono pesci.
- Pesci?

La cosa non li convince, e non convince tanto nemmeno me. Sono forse pesci, le meduse? Non ne sono sicura, meglio non dare idee sbagliate che se poi prenderà 5 in scienze un domani sarà colpa mia.
Guardo queste creature di 5 anni che mi guardano e non posso fare a meno di chiedermi cosa mai credano che sia quella roba viscida trasparente che massaggiano con le mani e scrutano curiosi.

"Puzzano perché sono esseri viventi. Morti".

Mi è scappato detto questo.

"Che schifo! Però le portiamo a casa lo stesso".

Forse da oggi per loro le meduse apparterranno alla specie "esseri viventi morti". Speriamo che un domani alla lezione di scienze non gli torni in mente di questa volta al mare.

venerdì 3 giugno 2011

Pascal

Mi ricordo che un giorno di tanti anni fa ho vestito bambini,

no, dico meglio,

mi ricordo che un giorno di tanti anni fa ho gettato i bambini nell'armadio, ho detto rotolatevi dentro prendete maglietta e pantalone svelti che andiamo a giocare fuori. Mi ricordo che poi siamo arrivati davanti alla porta di casa e mi ricordo che l'uomo mio ci ha fermati con la mano, e poi li ha guardati dall'alto al basso, e poi ci ha detto: dove-state-andando.

A fare un giro, gli avevo detto io.
Emh, no. Non avevo capito.
Non mi sono spiegato, mi dice. Intendevo: dove andate vestiti così.

Bene amiciui cavi, vi presento Pascal. Pascal abita dentro quella meraviglia d'uomo che ho la fortuna di frequentare giornalmente in quanto sua moglie. Ogni tanto succede, lo si può vedere bene dall'occhio che si tende, dalla faccia seria, dalla posizione del corpo che si fa pascàlica, con braccio piegato e mano cadente, mano che talvolta si tocca le labbra in segno di profonda concentrazione, succede che Pascal prenda possesso temporaneamente di ello. E quello era il giorno.
E insomma NO! no! non ci siamo proprio. Non andava bene per niente, che non si mischiano mai i quadretti e le righe, cosa mi salta in testa (avviso che se c'è qualcuno che a questo punto si sta sentendo male, è bene che eviti la lettura integrale del racconto), che le ciabatte blu e i pantaloncini neri, oh-ddio-mio! e che non si esce così (veramente non si sta neanche in casa da soli, così) e che i bambini dovevano assolutamente cambiarsi.
Vabè, ho pensato io, lo so che mio marito è anche Pascal, in fondo un marito pascal fa comodo, ché quando ho le crisi davanti all'armadio, lui arriva, sfurgatta un po' e mi addobba in tre mosse da sembrar uscita da vogue. Io lo so, ho pensato, che se metto in tavola le tazzine per il caffè, avendo noi il servizio ggiovane tutto colorato misto, ecco, se capita che, tipo, preparo la tazzina rosa salmone su piattino viola (oddio viola e rosa salmone. e qui ne abbiamo persi altri cinque per sopraggiunto svenimento), io lo so che gli viene il tic all'occhio. Ma va bene, ci compensiamo benissimo e poi ripeto: fa comodo.

Ma oggi, amiciui.
Oggi Pascal ha superato decisamente se stesso. Appena tornata a casa sono andata in bagno. Lui mi ha seguita perché mi doveva raccontare delle cose urgenti e insomma era lì sulla porta mentre facevo la pipì e quando ho finito mi sono alzata, mi son tirata su le mutande e a quel punto lui mi ha detto: oh che bello, brava! hai le mutande coordinate.
Ho le cosa? ho pensato. Le ho guardate: viola. Carine, zìzì.
Ma-ccci-eerto! gli ho detto io, sorridente e falsa come un barattolo tarocco di nutella. E' andato via felice.

Adesso voi ditemi, come faccio? non ho mica il cuore, davvero, di dirgli che io, ogni mattina, mi vesto rigorosamente al buio.
E che una volta sono arrivata a scuola in ciabatte.
E che da piccola non mi pettinavo mai.
E che da piccola mi prendevano in giro anche i sassi (volevo mettermi il vestitino estivo quello bellissimo con la farfallina ricamata davanti, in Gennaio, allora lo mettevo, ma sotto avevo il maglione di lana e i jeans. E allora?)
E che Pippo Pippo non lo sa, e nemmeno io tanto.
E che delle volte ho i calzetti di colore e forma diversi, tanto sono sotto.
Che per me i quadretti sono righe che si incrociano, quindi...
E che una volta mia sorella per farmi mettere un paio di scarpe adeguate ormai muoio.

***
Comunque prima sono andata a prendere il piccolo a scuola: stamattina l'ha vestito e portato lui.
Certo, coordinatissima ai calzoncini, però addosso aveva la maglia del pigiama.

martedì 31 maggio 2011

(senza titotlo)

La lingua samoana non possiede termini corrispondenti a personalità, , carattere; invece del nostro socratico conosci te stesso, i samoani dicono curati dei rapporti.

(studi di Bradd shore)

sabato 28 maggio 2011

sguardi

" E quando chiedo "Che cosa avete visto oggi venendo a lezione?" sembrano domandarsi dove mai li vorrà condurre l'insegnante. E invece è solo il mio provocatorio invito a chiederci come stiamo nelle cose, se lasciamo scorrere su di noi le situazioni come l'acqua sui vetri e andiamo di fretta, sempre proiettati sul dopo a venire, o se ci lasciamo invece toccare... e allora guardiamo. E ascoltiamo. E sentiamo."

Paola Manuzzi, in I corpi e la cura. Ed ETS

(dedicato a me e a tutte le maestre che, lasciando andare i "grandi", fanno scendere libere le lacrime. Commuoversi è meraviglioso. Esserci, straordinario)

giovedì 5 maggio 2011

poesia inconsapevole: un dialogo

dialogo tra me e T., anni tre.

- Maestra, ma quello è il cielo?
- sì
- e nel cielo c'è lo spazio?
- sì
- e quando andiamo nello spazio?
- Andiamo quando vuoi. Ma come facciamo ad andare nello spazio?
- Quando è notte il cielo è scuro.
- sì

ci pensa un attimo

- io quando il cielo è buio vado nello spazio.

venerdì 29 aprile 2011

ciao, io sono La selvatica

Allora succede che vado ad aprire la serra dopo un inverno intero (serra a casa mia uguale nylon buttato sopra accrocchio di vasi in un angolo della terrazza, quella dietro), che è primavera e io in primavera arriva un giorno che sono solita mettere i fiorellini nelle terrazze.
Oggi era quel giorno, me lo diceva l'aria (sì, a me l'aria mi parla).
Allora succede che vado dai vasi e i vasi si trovano in uno stato di abbandono totale da mesi CINQUE. Dimenticati, trascurati, non curati, mai annaffiati. MAI. Niente.
Come sospetto, non c'è anima vegetale viva. D'inverno faccio la serra solo per sentirmi più donna organizzata dentro, un po' per raccontarmi che sono un'anima buona. In realtà sono una bestia.
E.
Alzo i vasi uno ad uno quando succede una cosa che lì per lì mi lascia con due occhi come bega: la vedo. Contro ogni logica razionale lei è lì, dritta, orgogliosa, fiera, bellissima. Una gerbera.
Ciao, io sono La selvatica (sì, a me le gerbere mi parlano).


E ora: cosa vorrò mai dire con questo fatto della gerbera viva dopo un lungo inverno di freddo, gelo e abbandono?
Ci son cose che sopravvivono nonostante tutto, cose che ce la fanno nonostante l'abbandono, l'incuria, la dimenticanza.
Cose che nascono sotto il segno della tenacia e non c'è destino avverso che tenga. Sopravvivono. Come la mia gerbera.
Adesso l'ho messa davanti alla porta di casa. L'ho curata.
Terriccio, acqua.
E' piccola, più bella che mai.
Ogni mattina, prima di andare via, me la guarderò: lei, il suo coraggio, il suo orgoglio, la sua audacia.

Nota bene: coltivazione e cura della gerbera
"Le gerbere non resistono al freddo, per questo motivo è considerata una pianta da appartamento, con l'accortezza di tenerla in stanze molto luminose. Nelle zone con clima mite è possibile creare delle belle macchie di colore in aiuola soleggiate, ma riparate. Durante il periodo invernale, le gerbere in vaso vengono ritirate all’interno ed è necessario un ambiente illuminato, dove la temperatura non scenda al di sotto di 5-7 gradi."

giovedì 21 aprile 2011

cantiere




(foto pensate e dedicate a lui)

- Posso dare il rosso?
- no.
- Dai, ti prego, solo un po', andiamo più veloce.
- no.

Niente, non posso altro che fotografarlo, l'oggetto del desiderio.
(non pensavo ci volesse la laurea in tirologia, comunque eh)

lunedì 18 aprile 2011

La posta di zia Susina che risponde a domande mai poste

Buongiorno a tutte, care donne sintonizzate nella posta di zia Susina che risponde a domande mai poste,
oggi desidero parlarvi di un fenomeno di comunicazione tra uomo e donna che coinvolge tutte le coppie secula seculorum. Vorrei trattare del delicato fenomeno comunicativo che avviene tutte le volte che il vostro uomo fa dei lavori e viene a chiedervi un consiglio.
Ebbene, sappiate fin da ora e per sempre che l'ultima cosa che il vostro uomo vuole da voi è un consiglio.
Certo, sarete sicuramente tratte in inganno dall'incipit della frase che vi pronuncia, che generalmente è: secondo te (...)?
Attente donne!
Ripeto: l'ultima cosa che il vostro uomo vuole è un consiglio.

Lui in realtà vi sta dicendo: puoi ascoltare l'idea che ho avuto, e poi darmi ragione?

Come rispondere quindi al quesito ingannevole di cui sopra?
Facile. Ricordate bene: voi dovete dire: tu come avresti pensato di fare? (perché lui sa esattamente cosa vuole fare).
Lui, che altro non chiedeva che esporvi il suo piano ingegnoso e articolato, vi dirà la sua idea. A questo punto (so che è dura, ma dovete cercare di farcela) voi direte che è un'OTTIMA idea, trovate che sia perfetta. Sforzatevi, perché dovete farlo anche se ciò che vi esporrà con una caterva di particolari combatte fortemente le leggi della fisica, della logica e del banale buon senso. Non importa.
Fase due: quando si accorgerà di aver sbagliato, voi dovete essere lì pronte, perché lui vi dirà: ecco! lo sapevo, visto? me lo avevi detto tu, che dovevo fare così! Quindi sarà stata colpa vostra. Assumetevene la resposabilità con la nota faccia da Bambi, lui vi perdonerà e la relazione è salva, così come la sua autostima.
Pace e bene, sorelle.

sabato 16 aprile 2011

delle volte prendo l'amaro prima del caffè della mattina

Lezione di grammatica della vita: futuro anteriore

- Maestra maestra! Gigetto ["Gigetto": il bambino degli esempi] mi ha dato un pugno!
- E io cosa dovrei fare?
- Dirgli qualcosa, non farlo più giocare! non è giusto, non si danno i pugni!
- Nononononono, non avete capito allora! Venite tutti qui, dobbiamo parlare subito.

I bambini raggiungono le panchine in cerchio e si inizia il dibattito, cioè parla la maestra e i bambini ascoltano, o al massimo finiscono le frasi, vanno abituati da piccoli.

- Allora bambini, ve l'ho già detto e ridetto, qual è la cosa più importante nella vita?
- Essere ricchi!
dicono in coro i bambini di questa scuola dove gli insegnanti inculcano le cose giuste, quelle in accordo con i genitori.
- Bravi. E anche...?
- Bellissimi
- Bravi! Giusto... non giusto, son concetti relativi! Perchè se siete ricchissimi, le leggi ve le fate da soli. Gigetto è ricco e dà un pugno? ma che problema c'è? Paga la maestra per giocare ancora, oppure da grande entra in politica (per uno ricco non è difficile, anche restarci e vincere a lungo) e cambia la legge, capito? Se prima dare pugni era sbagliato, adesso non lo è più. Puoi sempre dare dei soldi ai tuoi compagni di classe per far sì che dicano che per esempio non hai dato nessun pugno e che il bambino che l'ha ricevuto mente spudoratamente. Se sei povero invece, e Gigetto è ricco e ti dà un pugno, ti arrangi, sei un bugiardo e basta, e vai a piangere nel cantone più brutto della classe. Avete capito bambini? Guardate che questa cosa che vi dico è importante e dovete ricordarla sempre: nella vita bisogna fare tutto il possibile per diventare ricchi. E belli, ovvio.
- Maestra?
- Sì?
- Ma veramente io pensavo che la legge fosse uguale per tutti, ricchi e poveri, e se io do un pugno la maestra mi sgrida perché è una cosa sbagliata, magari chiedo scusa, ché mi è scappato, e poi si fa pace.
- Dove l'hai letto?
- Me l'ha detto la mia mamma.
- La tua mamma legge sicuramente libri comunisti che però tra poco spariranno, non ti preoccupare. Ripetete con me: ri-cchi, be-lli, ri-cchi. Bravi!
- Ma cosa c'entra la bellezza, maestra?
- C'entra c'entra. Tu intanto pensa a essere bello, vedrai che poi un posto in tv o in politica lo trovi, e diventi...
- Ricchissimo!
- Bravo! E ora andate a giocare, i bambini poveri per favore cerchino di non disturbare troppo, vi vogliamo bene lo stesso eh, però lo sapete che poi è peggio per voi.

mercoledì 13 aprile 2011

Pronto

Perché non diciamo più pronto chi parla? neanche al telefono fisso? Eh? Perché? Io da piccola dicevo pronto chi parla? Adesso si dice solo pronto, che poi chissà mai perché proprio pronto. Perché? perché siamo pronti? Io non sono quasi mai pronta, per la verità.
Impariamo cose strane dagli adulti per imitazione e senza chiederci perché, e poi tramandiamo inconsapevoli queste abitudini assurde. Ma un motivo c'è di sicuro e si perderà nella notte della telefonia e noi non lo sapremo mai. Magari le prime centraliniste dicevano Chi parla? Son pronta alla ricezione, e poi la seconda parte è caduta, magari nei tempi poteva sembrare anche un po' osè, va' a capire; oppure dicevano E' pronto, chi parla? nel senso del collegamento. Mah. Indagherò da vecchia, quando avrò tempo. Mi tengo questi passatemi per la noia della vecchiaia.
Al cellulare dici Ciao tizio. Lo vedi, chi è. Lo sai. Poi magari scappa anche che chiedi Dove sei? Non che ti interessi veramente, forse è un modo per dire Ti disturbo? Infatti c'è una mia amica che mi dice: Ciao, dove ti disturbo? Fa prima.
Comunque poco fa mi ha chiamato mia mamma al telefono fisso e io ho detto Pronto, e lei mi ha detto Sei a casa? Io le ho detto No, e infatti se ci pensi è molto strana questa cosa che io e te adesso stiamo parlando. Mi piace molto scherzare la mia mamma.
Tempo fa mi divertivo a rispondere in modo stupido tipo Bronzo, Parto, Dimmi tutto, Chi sei? Cosa vuoi? Ne abbiamo ancora? Così, mi piaceva mandare in confusione mia mamma, infatti era quasi sempre lei.
Una volta mi ricordo che mi ha chiamata e io ho tirato su la cornetta e ho detto Eh. e lei mi ha detto Lia? e io le ho detto: Dipende. Sei tu, madre mia? E se sei tu, perché non mi riconosci più? Eh? io carne della tua carne, sangue del tuo sangue, basta una cornetta, una banale tecnologia telefonica, un filo dentro un muro, a sentirsi così lontani gli uni dagli altri? Ha aspettato che finissi il mio lungo monologo melodrammatico e poi ha parlato come se niente fosse. Mi aveva riconosciuta.

Mio figlio di 5 anni non risponde, si identifica: dice nome, cognome e paese d'origine. Manca il codice fiscale ma è perché ancora non lo sa.
Basta, ho finito, non devo dire altro.
Lunga vita al telefono fisso e a mia madre.

martedì 12 aprile 2011

Intervalli

Andando a lavorare la mattina in macchina accendo la radio e sovente mi capita di sentire delle pubblicità con dei dialoghi veramente così, che ho pensato che forse sono capace anche io, anche io potrei fare la scrittrice di pubblicità, che ci vuole? Basta immaginarsi il prodotto e pensare alla situazione. E' un attimo.
Allora propongo queste due pubblicità, per me ho un futuro, datemi un consiglio, se devo continuare su questa strada.

Intervallo pubblicitario per la tv/1.
Prodotto: orologio da polso Marca Ics.

Scena: lei e lui in situazione intima in un campo
.

AAAAAAzione
!

- Ma tu mi hai mai amato?
- Sì, molto.
- Quando?
- Dalle otto alle dieci.
- Cosa? ma è pochissimo tempo. Son solo due ore!
- Mannò, non ti devi fermare all'apparenza: io ti ho amato dalle otto di una mattina alle dieci di un'altra mattina dopo un sacco di tempo.
- Ah, ho capito, certo.
- Certo.
- Ma 'nfatti.
- 'Nfatti, sì.
- Quindi mi hai amato in un intervallo. Tu ami a intervalli.
- Si può anche dire così.
- E adesso mi ami di nuovo?
- Certo, dalle 17,30.
- Di che era geologica?
- Di ieri.
- Ah, quindi adesso sono in un intervallo d'amore fresco.
- Certo.
- E cosa aspettavi a farmelo sapere?
- E perché.
- Vabbè, comunque adesso mi ami, quindi va bene.
- Tantissimo.
- E questo è quello che conta, direi.
- Certo. Baciamoci con amore qui su questo campo.
- Va bene.

Si baciano con amore, poi lui guarda in camera (gergo tecnico, l'ho imparato dal gergo tecnico) fiero come uomo che non deve chiedere mai, e mostra a tutti i telespettatori il suo orologio di Marca Ics sorridendo felice a 219 denti, perché grazie all'orologio di Marca Ics ha potuto conquistare la sua donna da vero uomo sicuro di sé che non deve chiedere mai.

Cioè, nel senso, questo è il messaggio della pubblicità, cioè se hai l'orologio giusto conti bene gli intervalli, nel senso... ma si capisce?

***

Intervallo pubblicitario per la tv/2.
Prodotto: deodorante
M'inchiodòr.
Scena: sempre lei e lui in situazione intima in un campo
.

AAAAAzione!


- Senti amore! respiraaaahaa, lo senti che profumo di primavera che c'è nell'aria?
- Veramente io sento puzza di letame.
- Ma no, no! Amore senti, respira a pieni polmoni, senti che profumo di primavera!
- Eh sì dai, insomma.
- Sai amore, quando uno è felice tutto risplende nell'intorno. E credo proprio che questa sia in assoluto l'essenza della felicità: sentire profumo di primavera anche in mezzo allo sterco di vacca.

Lui guarda in camera e mostra fiero il suo deodorante (perché lui nel prato con la sua bella sulla coperta ha sempre a portata di mano il deodorante stick m'inchiodòr con il quale ha conquistato la sua donna che così sentirà profumo di primavera anche in mezzo a un campo coltivato fresco di sterco di vacca).

Cioè, si capisce il senso? nel senso che il profumo di questo deodorante emanato dall'uomo creerà in lei una tale felicità... ma si capisce? che lei dopo non sente nemmeno l'odore della cacca di vacca, capito? sente solo il profumo di m'inchiodòr e vuole sposarlo subito, capito? ma si capisce? Qui c'è anche tutta una metafora molto profonda ma non ve la posso spiegare, ovviamente va evinta.

***
Se mi fate sapere, grazie, credo che siano due idee brillantisime, cioè, se mi fate sapere se ho un futuro, per me ce l'ho, ma non vorrei illudermi, credo che quello lì pubblicitario tutto sommato sia un mondo molto difficile.

martedì 5 aprile 2011

segnali

Ci sono dei fatti nella vita, come delle coincidenze, che ti fanno capire che quello che stai facendo, come dire, è nell'ordine giusto delle cose, che va bene così, è la strada. Come quella volta che io e la mia amica Francesca eravamo a Bariloche e andavamo su per la montagna, era estate, non c'era nessuno, io dicevo Saliamo, saliamo, voglio arrivare fino a là, e là era un sacco dopo, in alto, e lei mi diceva Guarda che la montagna frega, non è vicino, e io Sì sì, andiamo. Poi arrivate in cima c'era anche la neve, la mia amica mi diceva Fotografa che questa la racconto, fin dove siamo arrivate (era anche un po' incazzata per la fatica, secondo me), e c'era un paesaggio che non vi sto a dire, ci siamo sedute su una roccia che sembrava una poltrona messa lì per guardare sotto e tutt'intorno, dava l'idea dell'infinito, non conosco la montagna ma quella volta sembrava proprio così, l'infinito. E io ho detto Qui manca che passi un'aquila e direi che nella vita posso anche morire, che le ho viste tutte (a 19 anni si fanno queste pensate idiote). E l'aquila è passata, è arrivata da lontano, un volo meraviglioso, era enorme, splendida, mi batteva il cuore forte, mi ricordo. Io mi son sentita di un pieno interiore che faccio fatica a spiegare (poi lasciamo perdere che eravamo solo io e lei e io sapevo da Piero Angela che le aquile tirano su anche le pecore dalla forza che hanno. Quindi mi è venuto da fare un pensiero, ho pensato: e se ci tira su a me e a te e poi ci porta nel suo nido per i suoi pulcini di aquila? Io avevo paura davvero, la Francesca mi guardava come dire Sei scema proprio. Lei sapeva sempre come tranquillizzarmi).

E insomma dico questo perché nella vita ci sono dei fatti che ti fanno capire che sei nel giusto, come oggi che con i bambini a scuola siamo andati al mare a piedi (a noi ci basta attraversare la strada, siam fortunelli) per sentire i suoni della natura, in particolare le onde, perché c'è un amico pirata che ci ha detto che è arrivato in un'isola della musica e che là la natura suona. Allora siamo andati a sentire se il mare suonava, e insomma lì c'era un signore che pescava, i bambini avevano visto una cassa strana e la volevano, credevano fosse un messaggio del pirata, ma era in acqua e io non mi volevo bagnare, allora ho detto Ci aiuta il signore qui, che ha gli stivali, e lui era felice di aiutarci, è andato a prendere la cassa ma era solo una cassetta della frutta, niente messaggio, ci abbiamo messo le conchiglie, e comunque quel signore con gli stivali era Raul Casadei.
Abbiamo fatto un sacco di chiacchiere e ci ha anche fatto l'autografo e le foto e abbiamo cantato Ciao Mare e comunque anche lui una volta era un maestro elementare.

Insomma, volevo dire che secondo me questo è un segnale che ci dice che siamo sulla buona strada.

sabato 26 marzo 2011

regalo

"... davanti alle fughe e alle loro vie, e i cimiteri erano come la pioggia che innaffiava (cioè all'acqua di rosa), usando le stigmate per tatuare l'anima, quando sondare era impagabile, e dosare le dita nel pugno ancora una cosa da bambini, mentre l'orafo delle perversioni moriva di meticolosità, e centossessanta dei centossessanta palombari dell'interiorità non tornavano più su, quando volatilizzata l'isteria, e posata sul tavolo la fame suppellettile, tutto pareva ancora in ordine, saputo che il girotondo delle fini infanti non trattava più la morte come colpevole, e i potati dal fruscio riuscivano comunque ad essere umana pianta, muovendo le restanti braccia del ramo, e gli gnorri cominciarono a far altro, quando pietra e carta si ingelosirono di forbice, e il padrone dei contesti sveniva..."

Alessandro Bergonzoni, bastasse grondare, ed. Libri schewiller, 2009

Stasera ci facciamo un regalo, c'è Bergonzoni a teatro.

lunedì 21 marzo 2011

un uomo

di profilo.

giovedì 17 marzo 2011

Unire. Lezione uno

Mi sveglio e so che oggi si festeggia che l'Italia è unita da 150 anni e mi viene in mente questa cosa qua, che tanti anni fa quando ero poco più che una bimbetta si parlarlava molto spesso di Europa unita anche politicamente, non solo economicamente, e a scuola (facevo le medie) avevano mandato a casa una specie di questionario-statistica da proporre ai genitori per capire se gli italiani la volevano o no, questa Europa unita. Allora mi è tornato in mente che io non ci capivo niente e non avrei proprio saputo cosa rispondere, a questa cosa dell'unità, non mi sembrava che mi sarebbe cambiato poi molto, non ci capivo proprio niente. Allora sono andata dal mio papà, anche curiosa devo dire, perché quello che mi avrebbe detto lui avrebbe avuto l'alone della verità, perché io ero una bimbetta semplice che guardava giorgi alla tv e pensava se era più bello abel o artur.
E lui mi ha detto: Europa unita? Certo che sì! io voglio tutto il mondo, unito!

mercoledì 2 marzo 2011

L'incantesimo

I sondaggi continuano a dire che il trenta per cento dei votanti danno la loro preferenza a lui, che il pdl è il partito dominante. Lasciamo perdere per adesso che se ha la fiducia è perché compra. Io continuo a pensare a quel trenta per cento. Nonostante tutto. Sono tanti, sono tantissimi, anche se comunque significa che i due terzi non lo vota (o lo tiene alleato come "boccone amaro"). Ma dove sono questi qui? Il trenta per cento vuol dire che se io entro in una carrozza del treno e chiedo Chi vota il pdl?, ecco, se siamo circa cento, trenta persone a occhio e croce dovrebbero, se non si vergognano, dire Io. Sono tantissimi.

Il fatto è che è un po' di tempo che mi chiedo perché continuino a votarlo, a credere in lui. E a crederci con tanta passione, trasporto, aggressività e rabbia, talvolta. Salvo poi, intervistati, dimostrare in realtà molta ignoranza rispetto alle cose realmente fatte in politica in questi due/tre anni di legislatura. Ma non è il punto, non sono qui a dire che sono ignoranti.

Ieri, in biblioteca (dovrebbero fare più attenzione a tutta questa libertà che abbiamo di prendere libri in prestito, studiare, mettere in relazione) avevo contemporaneamente sotto mano testi di antropologia e di letteratura per l'infanzia. Leggi qua, leggi là, ad un certo punto mi capita sott'occhio questo pezzo qui:

"Sarà possibile, nell'illusione della finzione, identificarci con più eroi, vivere più storie, ripetere l'esistenza in varie forme e uscirne tutti interi. [...] la fiaba assegna soprattutto agli ultimi e ai diseredati il ruolo di protagonisti desideranti, ad essi auspicano, nell'identificazione narrativa e grazie al meraviglioso, di poter ribaltare il proprio destino, l'identificazione può realizzarsi a pieno consentendo un cammino accanto all'eroe, segnato da incredibili sforzi che, quasi sempre, saranno ricompensati"
(Milena Bernardi, Infanzia e fiaba, Bonomi University Press,Bologna 2007)

Ah, ho pensato.

Poi ho pensato che prima della tv, il popolo si tramandava oralmente leggende e racconti nei quali consciamente e inconsciamente ci si dava spazio per l'Altrove, nelle quali si dava spazio per le zone censurate, nel quale si "credere senza credere veramente", veicolo di fuga, di evasione, di visionarietà.

Poi ho pensato che, contemporaneamente all'epoca della tv, che pian piano ha sostituito il racconto orale davanti al focolare, è successo che la società occidentale è diventata ricca e contemporaneamente ha conosciuto un vuoto di valori e una crisi esistenziale di cui si riempiono le pagine nelle analisi della società post contemporanea.

Poi ho pensato che la tv e la fiction si sono impossessate del nostro quotidiano, in un movimento di apparente appagamento di quel nostro bisogno ancestrale del meraviglioso, di identificazione senza pericoli, di "poterne uscire tutti interi". Perché abbiamo comunque sempre bisogno di storie.

E poi ho messo in relazione.
Nel vuoto di storie, nel vuoto di valori di oggi, nel buio di esistenze vuote riempite senza appagamento dal consumo, la fiction fa breccia, trova spazio nel terrore dell'essere soli e indifesi di fronte all'angoscia del vuoto interiore.
La fiction più grande di tutte, ora al potere, ha trovato il suo eroe; e se io però mi identifico con quell'eroe facendo entrare l'Altrove pericolosamente nel mio reale (secondo movimento: al grande fratello può andare chiunque, e nell'isola anche, per dire), allora vivo nel reale dentro l'illusione di poter "ribaltare il mio destino", e succede che "l'identificazione può realizzarsi a pieno consentendo un cammino accanto all'eroe, segnato da incredibili sforzi che, quasi sempre, saranno ricompensati". E infatti, guarda caso, l'eroe deve sempre sconfiggere dei grandissimi nemici che gli si parano davanti. La sua fiction compensa e riempie un vuoto a chi segue le sue peripezie.

Poi ho pensato che quel trenta per cento non può essere composto tutto da matti, o tutto da complici, o da chi ne trae interessi economici, sebbene questi ci siano, dentro quel trenta per cento. E gli altri?
Una parte, forse, è sotto incantesimo. E se è così come fa, adesso, a non credere più nel suo eroe, se con lui si è identificato? Come fa, adesso, a uscire da quell'incantesimo senza bruciare vivo, dentro? Come fa senza crollare? Se rinuncia, se vede, se esce dall'incantesimo, crolla una parte fondamentale della propria identità, crolla l'Io, crolla tutto. Ed è un casino profondo, dentro. Ecco la rabbia quando lo difendono.
In realtà, nel profondo, è paura.

***

Ecco, faccio studi incrociati e metto in relazione. Magari non è così, magari non ne so abbastanza e sto facendo un pastrocchio, nel caso mi scuso con chi ne sa di più e meglio, in fondo sono agli inizi di questo percorso di ricerca che è difficile e tocca temi molto complessi che non voglio banalizzare o peggio non capire bene. Condivido solo un'intuizione. Ancora acerba. E poi magari c'è chi l'ha detto meglio prima di me.

domenica 27 febbraio 2011

Evviva.

Senti senti.

Il premier ha urlato, ho sentito alla radio adesso mentre stiravo, ha urlato che le scuole pubbliche non educano bene, perché gli insegnanti della scuola pubblica inculcano agli studenti valori diversi rispetto a quelli che vogliono inculcare i genitori. E che è giusto, ha detto, che i genitori scelgano a quali scuole far andare i propri figli e quali idee siano loro inculcate.
(Cito a memoria, ma è fresca, non s'allontana tanto dalle parole esatte, l'ho sentita qualche minuto fa).
Lasciamo perdere per adesso l'ennesimo attacco alla scuola pubblica (e ai suoi insegnanti, tra cui IO) e lode a quella privata, perché mi sale la colazione del 52 che non ero ancora nata. No.
(eventualmente però vi rimando qui e qui).
Mi fermo a riflettere su questo, invece, altrettanto grave e pericoloso: educazione, per il premier, è inculcamento.

Evviva.

venerdì 25 febbraio 2011

Azioni apparentemente banali in una bella giornata di sole

E' una giornata di sole e succede che decido di andare a lavare la macchina, che è un gesto semplice semplice, di per sé. (No, non voglio parlare delle condizioni della mia auto, sorvolerò, altrimenti dovrò citare quella volta che l'ho trovata al telefono che cercava il numero azzurro dell'auto, il wwf della macchina da signora, il sindacato delle utilitarie, un aereo per andarsene. No dai, che non sono bei ricordi).
Andare a lavare la propria auto in una giornata fredda di febbraio viene in mente mica solo a me. Via tutto il grigiume della neve dell'inverno, facciamo questa cosa che ci fa sentire vicina la primavera, che profuma l'internamente, che scaccia il malumore!
E' una cosa semplicissima: passaggio sotto le spazzolone, getto asciugante, la cinquanta cent per l'aspirapolvere, carta per asciugare le goccine in più, stofinaccio per gli interni, tempo mezz'oretta ed è tutto finito e te ne torni a casa con la tua auto pulita e profumata come nel lontano non mi ricordo. Giusto?
No. Niente vero. Errore.

Tutto ciò che è semplice diviene incredibilmente complicato se parcheggi la tua automobilina per le operazioni secondarie al lavaggio esterno di fianco al truzzo della macchina, che è lì già da un po' che traffica.

Ora:

Il truzzo dell'auto è un ragazzo dalla faccia simpatica, con i capelli lunghi come i miei, legati in una coda bassa spettinata distratta come la mia , con una utilitaria come la mia (ma nera) e che oggi ha avuto un'idea come la mia. Eccoci qua, ecco cosa rende un semplice gesto come lavare l'auto una cosa particolarmente complicata.
Il truzzo della macchina ha le portiere aperte, si muove sicuro, è serio e concentrato nel suo aspirare certosino OGNI anfratto della sua auto. E dalla sua auto non esce la musica di Nora Jones, che io avevo (poveraccia) in mente di mettere mentre mi aspiravo la mia. No, il truzzo della macchina è un uomo che sa capire il momento amare la vita giocare col vento, è un uomo che sa le cose, conosce i segreti, non ce n'è, lui sa tutto e sa ad esempio che per lavare bene la macchina ci vuole la musica techno, che tiene rigorosamente a volume alto e che fuoriesce dall'abitacolo ritmando il nostro lavare nel tramonto (è davvero molto romantico tutto ciò, ma lo dico proprio perché è vero).

Il truzzo della macchina ha l'auto più accessoriata di una settantenne che va a ballare il liscio, dentro e fuori. Tutta cromata pulita lucida, brilla da far male agli occhi. La mia no, c'ha anche uno striscio nerognolo in una fiancata preso una volta in un momento che stavo non mi ricordo. E insomma mentre prendo timidamente lo straccetto per asciugare le goccine in più, sento lo sguardo distratto del truzzo della macchina poggiarsi sui miei strofinamenti secchi, sento salire dentro il massimo dell'inadeguatezza interiore, ogni mio gesto è sotto stretta sorveglianza, ed E' SICURAMENTE SBAGLIATO. E mentre io asciugo le goccine, aspiro gli interni, strofino qui e lì, sento lo sguardo compassionevole (per l'auto) e di pena (per me) del truzzo della macchina. In fondo lo stimo, la sua auto lo seppellirà, per come la tratta. Io ci parlo, con la mia, per dirle che le voglio bene, che ci tengo. Ma lei sa che il truzzo ama di più la sua, si vede proprio, e la mia inadeguatezza sale.
E' molto simpatico, il truzzo, nonostante gli sguardi di pena, perché quando con il mio culone ho chiuso la mia portiera che sfortunatamente ha incontrato nel chiudersi la sua testa chinata a lavare non so quale piccolo angolino in basso nascostissimo della sua auto, non ha imprecato e non mi ha dato uno spintone per ricambiare. Gli ho detto Odido scusami e lui ha detto Scusa tu e io ho pensato Scusa cosa? che ti stavo decapitando. Come sei buono, truzzo.

Lo schiaffo finale dell'inadeguatezza è avvenuto quando ho finito molto prima di lui pur essendo arrivata molto dopo, e lui invece era ancora là che lavava, anzi, aveva preso il pennello e aveva un secchietto in mano e stava spennellando le ruote. Niente, sono indietro, indietro.

Comunque oggi lavando la mia auto a suon di techno ho capito una grande verità: l'anzianità di una macchina si calcola contando il numero di aghi di pino inficcati nella moquette e nei tappetini.
Almeno dove abito io, che è pieno.
(Se poi li trovi anche nella tapezzeria dei sedili, in quel caso l'auto va direttamente portata in un museo).

venerdì 18 febbraio 2011

Dai, ce la faccio

- Ciao
- Ciao
- Come stai?
- Sono molto triste.
- Oddio, mi dispiace!
- Ho bisogno di chiacchierare un po', ci sei?
- No, cavolo! Sono di fretta, ho un sacco da fare, ma mi libero tra due giorni. Riesci a restare triste fino ad allora?
- Non lo so, io sono triste oggi, ma se proprio non ce la fai, dai, resisto e cerco di rimanere triste per qualche giorno.
- Brava!
- Senti, se proprio non ce la faccio, magari interrompo e poi però torno tristissima per quando ti liberi.
- Sarebbe perfetto!
- Ok, allora ci sentiamo tra due giorni. Ti cerco io.
- Resisti eh!
- Sì sì, son bravissima a resistere.

lunedì 14 febbraio 2011

Scusi Lei, è qui che si festeggiano gli innamorati?

Io S. Valentino non l'ho mai festeggiato. Primo perché fino a vecchiarda età non ci ho avuto il morosetto, a S. Valentino. Secondo, magari il morosetto ce lo avevo avuto, ma era scaduto qualche mese prima. Oppure era un proprio un anno brutto brutto. Comunque mai che sia caduta la coincidenza di avere il morosetto a S. Valentino.
Poi in vecchiarda età mi sono fatta il morosetto serio, che infatti è quello sopravvissuto finora, e siccome eravamo tutti e due un pochino così, che non ci interessava festeggiarlo, non lo abbiamo mai festeggiato. Non son mancate le cose romanticose nel calendario sparso, eh. Gesù vi vedo, non abbiate pena!
Però oggi ho deciso che volevo sfatare questa cosa qui snob di non fare la festa agli innamorati, e allora, a modo mio, ce l'ho fatta. Festa. Agli innamorati.

Così mi è uscita una poesiola che gronda amore.
La poesiola fa così:

Se tu fossi qui con me
andremmo a vedere insieme
quello spettacolo
che ci piace a tutti e due.


Se tu fossi qui con me

ti preparerei una fetta di pane con la nutella

e tu mi diresti grazie

e poi te la mangeresti

e mangiandola

punteresti i tuoi occhi su di me

ché vuoi mangiare anche me

(anche pieno di gratitudine).


Se tu fossi qui con me

dopo la fetta di nutella e la gratitudine

faremmo l'amore.


Se tu fossi qui con me

ti direi ti amo

timidamente

anche tu me lo diresti,

forse mi diresti
Anch'io
che non è proprio la stessa cosa

ma fa lo stesso.


Se tu fossi qui con me

ti laverei i piedi.


Se tu fossi qui con me

giocheremmo al gioco dei nomi

io ti dico un cognome di uno famoso

tu mi dici il nome

e poi viceversa

e chi non lo sa perde

e paga pegno

(cioè lo pago sempre io

perché sono un po' capra

non so niente di solito,

tu invece sai sempre tutto).


Se tu fossi qui con me

potremmo fare tutte quelle cose che fanno gli innamorati

i bacetti sul collo

io che mi siedo su di te

i brividini.


Se tu fossi qui con me

ti direi

resta sempre.


Se tu fossi qui con me.


Ma tu non sei qui con me
.
No.

Perchè adesso tu sei con quelLA PUTTANAAAAAAAAH.


Colgo l'occasione per fare tanti auguri a tutti gli abitanti del globo terracqueo che amano.

venerdì 11 febbraio 2011

Messaggi in codice

Dedita alla pulizia interiore del coso qui, del portatile, tra smoccolamenti e inadeguatezze varie della sottoscritta, lui ad un certo punto se ne esce così
"D:\".

Che va bene tutto, eh, per carità. Sei complesso, e io non so notoriamente una cippa di te, siamo due mondi lontani, non ti capisco, non ti so prendere proprio.

Però, coso, deciditi, delle due l'una: o ti fa ridere o ti scoccia dabbestia.

sabato 5 febbraio 2011

Non fa una piega

Ieri ho rotto uno specchio.
Chi era lì con me mi ha chiesto se sono superstiziosa.
No, le ho risposto.
Per fortuna, mi ha detto.

La Fortuna di non essere superstiziosa batte Sfiga dello specchio.

Credo che tutto ciò abbia qualcosa di veramente meraviglioso al suo interno.

Ragioniamo:
se fossi superstiziosa, la tradizione vuole che la cosa mi porterà sfortuna per sette anni e il solo fatto di crederlo, quindi, mi farebbe leggere gli accadimenti futuri della mia vita come sfighe dovute o strettamente legate a questo episodio dello specchio.
Il fatto che non lo sono, quindi, mi farà pensare, rispetto a ciò che succederà di qui in avanti, che sono eventi legati semplicemente al vivere, a scelte, al caso eccetera, niente di diverso da prima che rompessi lo specchio.
Non è una sfortuna, non è una fortuna.

Diverso è, invece, per chi era con me, perché per costei il fatto che io non sia superstiziosa è una fortuna. E questa fortuna che ho, di non essere superstizisa, batte la sfiga dello specchio.



(Mi scuso per aver spiegato il ragionamento, non si sentano offesi i lettori, l'ho fatto più per me stessa. Come quella volta che all'università la professoressa di Pedagogia ci tenne a dire che un altro va scritto senza apostrofo, ci pregava di scrivere le relazioni in modo almeno grammaticalmente corretto, non prima di scusarsi sinceramente con malcelato imbarazzo per dover spiegare ciò che riteneva una ovvietà, visto il livello d'istruzione in cui ci trovavamo)

sabato 29 gennaio 2011

post veloce

volevo solo dire che delle volte la rete mi sembra come un tapis roulant che io sono sopra, e le informazioni corrono veloci e sono così tante, sarebbero tutte importanti da leggere, corrono veloci, e io son di quella generazione che legge lentamente, che vuole assaporare, che vuole capire e ha bisogno di tempo, scavare, scavare, di fermarsi su ogni frase, ma cosa vuoi scavare, invece la rete è un tapis roulant di informazioni, e relazioni, è veloce veloce, bisogna fare veloce, oppure come da piccola che mettevo su una stazione radio e mentre ascoltavo quella stazione invece di godermela stavo lì a pensare che me ne stavo perdendo altre centomila, di robe interessanti, mi veniva l'ansia, anche, ché non è mai stato facile scegliere per me, non so per voi, alla radio, ma dico anche in generale, nella vita. Allora niente, dicevo, la rete è come un tapis roulant e mi viene questa ansia, ultimamente, non so. Insomma, alla fine, voglio dire che ultimamente, tutte le volte che ci vengo, nella rete, ecco, niente, tutte le volte io finisco per rovinare faccia a terra.

venerdì 21 gennaio 2011

Spaccati

Spaccato 1.
La tanto amata capacità di sintesi (ovvero: beata gioventù)

Spacchiamo la mia quotidianità e vediamo la sottoscritta, martedì alle ore 18,30, andare a prendere il figlio novenne a calcio. Fuori fanno tre gradi sopra lo zero. E nebbia.

Segue questo dialogo.

- Ciao Ale, è tanto che aspetti?
- Mh, no, saranno tre minuti.
- Ma hai la pelle d'oca nelle gambe! Hai avuto freddo?
- Ma va là.
- Ma veramente? Di' la verità, solo tu avevi i calzoncini corti.
- No no, uno aveva anche la maglietta corta.
- Ma dai!
- Sìsì.
- Pazzesco... ma cosa siete?
- Bestie.


****

Spaccato 2.
DiversAbilmente meraviglioso (ovvero: povere vecchie)

Spacchiamo la mia quotidianità una seconda volta e scopriamo la sottoscritta a scuola intenta a dialogare con la collega. La sottoscritta è di spalle alla porta della sezione e la collega, parlando, continua ad avvicinarsi sempre di più, sempre di più, senpre di più (no, non mi voleva baciare, maiali).
Io non posso allontanarmi (ho la porta che mi blocca) e non la voglio interrompere perché sto seguendo con molta attenzione ciò che mi sta dicendo. Solo che se si avvicina un altro po' io non la vedo più, causa vecchiaia incipiente.

Segue questo dialogo:

-Terry, se ti avvicini ancora un altro po', io non ti vedo.
- Eh! Il problema è che se mi allontano, io non ti sento.

lunedì 17 gennaio 2011

che bello poterlo dire!

Che bello poterlo dire, l'ho sempre sognato, trentasette anni e m'è successo troppo raramente per potermene vantare.
Ma questa volta, ooooh, questa volta posso, lo dico eccome, e pure con spocchia:

Io ve l'avevo detto.


"Marta si siede. Sorride. Scuote la testa.
- Gianni, sai cosa mi è venuto in mente l'altro giorno, a proposito?
- Cosa?
- Che tra un po' chiameranno le elezioni, magari metti che la tensione sul lodo Alfano o sui vari spatuzza aumenta...
- e allora?
- e allora gli sceneggiatori di 'sto romanzo criminale ne hanno in mente un'altra, vedrai che calano l'asso.
- cioè?
- Adesso, dopo che al nostro personaggio alla Eric Forrester è arrivato un duomo in faccia, dato lo shock del non essere forse amato proprio da tutti tutti, nasce nel suo cuore un grande ripensamento, la notte dell'Innominato, tipo. E per copione, si redime. Prima mossa: perdona Tartaglia, o come si chiama. Seconda mossa: Santo Padre. Terza mossa, e qui si vede il genio di chi scrive le puntate...
- dai cazzo, mi sto già inquietando, ché quando fai così mi metti un po' paura.
- Babbo, non si dice cazzo
- Hai ragione, scusa.

- Senti Marta, per me quei due di là me lo dicono perché così hanno il bonus parolaccia. Chiudi la porta va'.
Marta chiude la porta.
- Comunque, dicevo, adesso, se si sarà in vista di elezioni, arriverà la Lady D de noaltri.
- Ehhhh?
- Ma certo. Ascolta il capolavoro: dopo la notte dell'Illuminato (che tra l'altro è Natale, pensaci), c'è la redenzione. Basta porcaio, basta ciarpame senza pudore. Arriva il grande amore, i veri valori, il nido che riscalda... Una bella quarantaduenne, magari, chessò, una che ha sempre lavorato nel sociale, facendo del bene, una che ai soldi non ci pensa... una del popolo... et voilà! La storia continua, il popolo può avere il suo romanzo! Colpo di scena! I migliori santi, si sa, sono quelli che sono passati attraverso tanti errori, una vita dissoluta, una vita confusa...
- Oh mio Dio, dai, così è troppo sporca.
- Ah, beh, perché, fino ad ora, siccome...
- Mh, hai ragione.
- E sai tutto lo spettacolo che ne consegue, tutto il flashback sulla vita di lei, le foto della loro segretissima storia d'amore (segreta perchè lui la vuole proteggere, ah l'amour). Già mi vedo tutto, e poi il matrimonio. E il popolo lo vota. Fine.
- Merda.
- ...
- ...
- Se succede davvero, sai cosa penso?
- Cosa?
- Che ho un po' paura a dormirti di fianco, francamente.
- Ahahahaha.
- Va beh, andiamo va'. Andiamo a sbattutare un po' su Spinoza. Alla fine, pensare sì, sempre, ma meglio riderci anche un po' su. Altrimenti poi il sangue mi va tutto in aceto. A pensarci, guarda, mi darebbe gusto però. Visto che ce lo bevono, il sangue, che si becchino del gran aceto."

(Natale 2009, dalla prima storia di Gianni e Marta, qui)

domenica 16 gennaio 2011

I giorni della merla (fino al collo)

Stupidipensieri amari e veloci nei giorni della merla.

Ho letto un po' di cose in giro e sono incazzata. Sono incazzata per Mirafiori, sono incazzata per il teatrino della politica italiana, sono incazzata per la riforma scolastica (e siamo solo alle notizie in Italia), sono incazzata e cerco di capire.
Non è la prima volta che la politica mi fa incazzare, sono anni che mastichiamo schifezze e delusioni e sono anni che cerco di pensare a piccole personali nicchie di felicità dentro il marasma generale.
E ogni tanto mi chiedo: cosa racconterò ai miei figli o ai miei nipoti di questi momenti, cosa dirò che facevo, io? Come reagivo, quale è stata la mia parte?

Gli operai sottoposti al referendum: cosa significava dire sì, cosa dire no? Cosa significa essere posti di fronte ad una scelta-non scelta, di fatto contro un gigante (la logica di mercato, burattini e burattinai) che può arbitrariamente e sempre di più piegarti e impedirti di vivere una vita dignitosa, con un lavoro in cui non ti senti uno schiavo sottopagato e che non ti mette nella condizione di essere in competizione contro i tuoi stessi colleghi per un tòco de pan, potere che ti impedisce di renderti autonomo, o crearti una famiglia, o sapere che avrai la possibilità di far studiare i tuoi figli (per dirne solo alcune)?
Un referendum che ti mette di fronte alla scelta: "o sì o taac"? (cit da qui)
Ma per favore.

Cosa significa dire sì o dire no?

Questo referendum, questa finta scelta è solo una briciola nelle enormi contraddizioni in cui ci siamo infilati in duemila anni di storia.
Se non ci mettiamo in testa che è il momento di studiare, leggere, capire, TUTTI, di renderci consapevoli delle dinamiche storiche, sociali (e psicologiche, anche) che governano il nostro vivere a livello personale, locale ma anche globale (per dirne solo alcune: ridistribuzione della ricchezza, tecnologia per migliorare la qualità della vita di tutti, ricerca di forme nuove e ecologiche di produzione dell'energia, fine dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e di nazioni su altre nazioni, ma al contrario andare verso la logica dell'uomo per l'uomo - e lo diceva già E. Fromm - eccetera);
se non ci mettiamo in testa che è ora di cercare strade nuove, ma condivise, insieme, allargado anziché stringendo il campo, sentendosi parte del mondo e non cercando la propria identità in cerchi sempre più stretti, regionali, religiosi, di colore, di lingua;
se stiamo qui a guardare l'orticello, fare i rattapezzi che non solo non bastano ma aprono altre criticità e chiamano altri rattapezzi;

e allora continueremo a vivere di rattapezzi, continuerà ad aprirsi la forbice tra ricchi e poveri, continueremo ad alzare muri, ideologici e reali, a inseguire il bisogno di sentirci grandi attraverso qualcun altro che soccombe, a farci la guerra tra poveri, ad essere oppressi con la violenza da chi ha il potere in quel momento.

***
Ma siamo alle solite. Alle solite perché la dinamica (a livello micro e macro) è sempre quella. Com'è che la storia ha conosciuto schiavi, persecuzioni, guerre, rivoluzioni sanguinarie per rovesciare governi sanguinari e oppressori, e adesso siamo di nuovo lì?
Siamo ancora lì. Sarà che siamo fatti così.
La verità è che l'uomo ha la memoria del pesce rosso. Mio nonno è morto e mia nonna non dà più nel quindici, e quel che racconterò io ai miei figli sarà una piccola porzione e magari romanzata di quello che loro hanno vissuto con la povertà, con il fascismo, con la guerra e con l'emigrazione oltreoceano perché qui, negli anni 40, non c'era lavoro.
E raramente rileggiamo la storia. E raramente ce la raccontano in tv. E ormai non c'è tempo per farla (bene) a scuola; e se la fanno, è difficile poter approfondire i temi con la calma che richiedono. La storia ci casca addosso, e per taluni è pesante come un macigno.

E poi non abbiamo tempo. Non abbiamo tempo per studiare, non abbiamo tempo per informarci, non abbiamo tempo per leggere e discutere con altri. Non abbiamo tempo perché lavoriamo tutto il giorno e portiamo avanti una famiglia. Non abbiamo tempo perché la giornata è di ventiquattro ore e siamo presi dentro il turbine del quotidiano. O delle cazzate.

Ok, non io ho tempo ma ho deciso che lo devo trovare. Oggi c'è la possibilità di fare circolare le idee come mai prima d'ora. Lì risiede la sfida. Però le idee nascono se il cervello lavora, oppure c'è il vuoto, o la defilippi, o star dietro alle puttane della politica italiana (anzi, alla politica delle puttane italiane) o peggio, seguire l'ideale di moda e abbracciare la forca, così si sfoga un bel po' di rabbia, intanto.
E far lavorare la testa richiede fatica e tempo. Tempo di informarsi e fatica di ragionare.
(poi, in rete ce la raccontiamo tra di noi, eh, ma è un inizio).

Io, ad esempio, non conosco bene l'economia politica (storica e contemporanea), ne ho solo qualche informazione parziale e spesso confusa, e ammetto che mi piacerebbe saperne di più, che qualcuno me la spiegasse, ché da soli è difficile davvero. Senza conoscenza si parla per luoghi comuni e se ne producono anche. Troverò il tempo? Non lo so. Adesso non la conosco bene, ma conosco l'uomo abbastanza da sapere che la perfezione non esiste e che le tensioni e le contraddizioni fanno parte della sua natura più profonda; che si fa causa al vicino per una pisciata di gatto nei gerani e che si litiga tra fratelli sul letto di morte del vecchio ricco; che spesso se si deve scegliere tra stare così così in due o uno benissimo e l'altro di merda, si finisce nella maggioranza dei casi per l'opzione due.
Anche questa consapevolezza di sé costa fatica, e tempo.

Ma so anche che l'uomo è l'unico essere vivente con il libero arbitrio (lasciamo perdere derive religiose, please), e che abbiamo sempre una scelta, e che la scelta è necessaria e difficile perché richiede comunque la perdita di qualcosa. Nel micro e nel macro.
E so anche che non possiamo prescindere dalla tensione a stare meglio, ma che si sta veramente bene se si sta bene tutti.

Oppure no, oppure vincerà l'istinto di morte e vaffanculo, sceglieremo sempre e comunque me, ci massacreremo e la terra alla fine creerà un buco e ci cacherà via tutti con una sonora scorreggia. Dentro sacchetti di plastica.
Di sicuro non saremo né i primi né gli ultimi ad estinguerci perché inadatti.

Ma di sicuro saremo i primi ad estinguersi perché cretini.

lunedì 3 gennaio 2011

Il re piccolo ciccione

La notte a cavallo tra i due anni, quello che se ne è andato e quello che deve ancora farsi, ho fatto un sogno strano. E' il sogno di un uomo, e questo uomo è come un piccolo re, e questo piccolo re entra in una porta. E questa porta è una porta strana, non apre e non chiude niente, non tiene fuori nulla e non contiene un dentro, è una porta nel mezzo del vuoto, come una porta nel deserto, o nella prateria, o nella steppa desolata, desolata ma non triste, questa porta schiaffata lì nel mezzo e il perché non si sa, non è dato sapere. C'è questa porta banale, lì, socchiusa.
Ho fatto questo sogno strano che questo piccolo re ciccione con il mantello rosso e i rubinicherubini oltrepassa questa porta e da quel momento, d'un tratto e senza spiegazione alcuna, da quel momento si dimentica dei colori, proprio di tutti i colori, dell'esistenza di tutti i colori del mondo. Dopo che è passato da quella porta, questo strano piccolo re vede tutto grigio.

Poi non mi ricordo molto bene i pensieri che ho fatto, sognando.
Per esempio credo di aver pensato, mentre sognavo, perché delle volte io faccio i sogni e mentre li faccio penso contemporaneamente al senso intrinseco del sogno stesso, ecco, devo aver pensato che il fatto che il re piccolo ciccione si sia dimenticato dei colori può voler dire che è il suo cervello che non li vede più, non è che sono i colori a non esserci più.
Anche quando sogna, questo re piccolo, i suoi sogni sono senza colori, questo re sogna in bianco e nero. Tutti li possono ancora vedere, i colori, invece il suo cervello non li vede più, e questo dopo che è passato dalla porta in mezzo al niente.
E' un po' un casino vestirsi, per quest'uomo, questo mi ricordo di aver pensato, perché per lui, da adesso, è tutta una tonalità di grigi, non vede i colori e non sa che cosa indossa. Ma in realtà non è nemmeno poi tanto difficile vestirsi perché lui, nel suo armadio, ha solo cose grigie o nere, tranne il mantello rosso, che lui vede grigio anche quello, ma son sicura che non è Babbo Natale, nono. E' un re.

Poi devo aver fatto altri pensieri, infatti mi ricordo che li ho fatti; ho pensato a questo re senza colori, con un cervello deficiente. Ecco, mi ricordo questa parola, deficiente, mi chiedevo se c'era la i di ciente. Poi c'era la parola deficia, il re deficia nel cervello in quella parte che deve vedere i colori. Questa parola strana, deficia, era molto colorata, grande, e fluttuava nell'aria sopra a questo niente del deserto, o della prateria, o della steppa, fluttuava come le parole nei vecchi desktop quando scattava lo screensaver, fluttuava, io la guardavo e pensavo al verbo deficere, ci va la i? pensavo mentre il verbo deficere fluttuava davanti a me, al re deficiente con la i e alla porta sul niente di questo strano sogno.

Ho pensato anche, mentre facevo questo sogno, al momento in cui l'altra sera ero al cinema e guardavo quel film che va di moda adesso, TRON, quello treddì, sìsì, mi sono messa a pensare a quel film lì, che mentre lo guardavo con gli occhiali treddì sembravo una vecchia che guarda il mondo un po' con gli occhiali e un po' no, che se li fa calare sul naso e guarda da sopra, e guarda anche tutti quelli nel cinema con lei che invece sono seduti dritti e comodi e guardano con estrema naturalezza il film. Solo io, forse, ho delle perplessità nella visione, come un sentirsi tesi, scomodi. Rilassati! pensavo, lasciati andare e vedrai che va meglio, invece niente, perché forse il mio cervello ha dei problemi a vedere le cose con gli occhiali treddì, che fastidio, vedere tutto un po' sfocato, non riuscire a godersi il famoso treddì.

Forse ho anche pensato, mentre facevo il sogno del re, che il mio cervello deficia con la i, è deficiente nel vedere i film treddì, e la parola deficere fluttuava davanti a me, come a dirmi qualcosa, non so cosa.
I colori però io li vedo, pensavo.

Poi mi sono svegliata dal sogno del re il cui cervello non vede più i colori.
Erano le quattro di notte.
Bah, ho pensato.
Poi ho fatto una riflessione importante: ho passato i giorni a cavallo di due anni diversi nel letto a delirare per la febbre e i dolori alle ossa, non potevo non condividere la gioia di questi deliri.

Se pensate che questa storia abbia un senso, questa storia di un re ciccione che oltrepassa una porta in mezzo al nulla e da quel momento il suo cervello deficiente è incapace di vedere i colori, un po' come il mio di capire il treddì, ebbene, se fate questo ragionamento, sappiate che incorrete in grave errore. Di senso questa storia non ne ha alcuno.

Signorina, ora può far partire il conto all'incontrario.

Veramente si dice conto alla rovescia.


Signorina, ora può far partire il conto alla rovescia.


Ma questa cosa non ha senso.


Esattamente come questo post.


Buon 2011 a tutti, che non l'avevo ancora detto. Che screanzata.